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E la folla esplode: «Santo subito!»

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diRODOLFO LORENZONI «Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre!». L'omelia della messa funebre in onore di Giovanni Paolo II è affidata al cardinale Joseph Ratzinger. L'uomo che succederà a Wojtyla sul trono di Pietro, l'8 aprile del 2005 dà vita a un potentissimo omaggio al Papa appena scomparso, mentre in piazza San Pietro le grida e gli striscioni dei fedeli implorano: «Santo subito». Ratzinger non si richiama solo al carattere teologico del pontificato di Wojtyla, al suo interpretare il Mistero Pasquale come Mistero della Divina Misericordia. Il cardinale indugia anche sulla straordinaria dimensione popolare del Papa polacco, allude alla «rinnovata intensità del suo annuncio evangelico» che ha saputo attrarre le folle di tutta la terra. Le stesse folle sconfinate che invadono senza tregua la città eterna per rendere omaggio al Pontefice. È questa la decisiva eredità che gli «anni di Wojtyla» lasciano alla Chiesa di Roma e al popolo di Dio: un modo diverso di essere Papa. «La differenza fra Dio e il Papa? Dio è in ogni luogo, il Papa ci è già stato», con questa battuta lo stesso Giovanni Paolo II volle scherzosamente riassumere la propria idea di vicario di Cristo. La sua è una vera e propria «pastorale itinerante», che tocca tutti i continenti: trascorre fuori dalle mura vaticane più di due anni e mezzo del suo pontificato, copre un numero di chilometri superiore a quello che gli astronauti hanno percorso tra la terra e la luna. E ogni volta è a fianco dei più deboli, dei derelitti, dei popoli, delle società in cammino. Ai potenti del mondo, «il grande» Giovanni Paolo II riserva solo e sempre un ammonimento: cercate nel messaggio di Cristo la forza di fare il bene dell'uomo, le risorse per creare la pace. Viene da lontano, eppure si sente profondamente romano e vescovo di Roma. Lo definiscono (con molte ragioni) impolitico, ma nei fatti contribuisce ad abbattere il comunismo e interviene puntualmente e con vigore su tutti i problemi più rilevanti che tormentano l'Occidente. Rompe la serie plurisecolare dei Papi italiani, eppure completa la risoluzione della «questione romana», perfezionando il Concordato del '29 con la firma di Agostino Casaroli sull'accordo di Villa Madama, il 18 febbraio del 1984. È il primo Papa della storia ad entrare in una sinagoga e il primo a pregare in una moschea. Si spende con coraggio per il grande progetto dell'unità dei cristiani: i viaggi in Romania e in Georgia riaprono il confronto con il mondo ortodosso e l'abbraccio tra il Papa e il patriarca di Bucarest Teoctist costituisce una svolta, perché Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, separate dallo scisma del 1054, tornano finalmente a incontrarsi e comunicare. Muove passi importanti verso il mondo protestante, firmando una dichiarazione congiunta tra Chiesa cattolica e Federazione luterana mondiale su questioni dottrinali, in cui si afferma che tra le due tradizioni c'è consenso su alcune verità fondamentali. E altro ancora: tanto ancora. Ma è soprattutto il Papa della gente. «Il computer mi ha cambiato la vita», confida, ma non si è mai accontentato del rapporto virtuale con il prossimo. Come ha raccontato una volta un sacerdote polacco suo coetaneo e amico, padre Mieczyslaw Malinski, il giovane Karol Wojtyla quando doveva comunicare qualcosa usava pochissimo la posta o il telefono: desiderava incontrare direttamente il suo interlocutore, per guardarlo negli occhi. Davvero Giovanni Paolo II ha voluto «guardare negli occhi» il mondo, e proprio per questo il mondo non lo dimentica. Le sue ultime parole coscienti, poche ore prima di spirare, sono state ricostruite dal suo portavoce. Anche nel momento estremo, egli parla al popolo di Dio. Per dirgli: «Vi ho cercato, e adesso siete venuti da me. Grazie». 12-continua

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