Il Papa per la prima volta nella sinagoga

Giovanni Paolo II sa affrontare con coraggio la Storia. È in grado, con un solo gesto dettato dalla fede, di disintegrare secoli di incomprensione spesso sfociata nell'odio. La giornata del 13 aprile del 1986 racconta uno di questi gesti: Wojtyla entra nella sinagoga di Roma e incontra gli ebrei. Paolo IV, che cinque secoli prima sedette sullo stesso trono del Papa polacco, brutalizzò i giudei, rinchiudendoli nel ghetto e gettandoli nella più nera miseria morale e materiale. Ora Giovanni Paolo assume su di sé il compito di capovolgere gli annali e, primo tra i Pontefici della Chiesa di Roma, fa il suo ingresso nel tempio degli ebrei, li chiama fratelli, abbraccia il rabbino capo Elio Toaff, depreca l'oppressione cattolica e rievoca con sdegno commosso lo sterminio perpetrato da Hitler. «Gli atti di discriminazione e di oppressione nei confronti degli ebrei - scandisce Wojtyla - sono stati manifestazioni gravemente deplorevoli. Condanno gli odi, le persecuzioni e tutte le dimostrazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque. Ripeto: da chiunque». Parole nette e acclamate, che produrranno rilevanti conseguenze politiche e dottrinali, come la riapertura delle relazioni diplomatiche della Santa Sede con Israele nel 1994 e la comprensione della questione ebraica all'interno dell'atto penitenziale giubilare. Adesso l'instancabile cammino di incontro con le altre religioni non può fermarsi. Giovanni Paolo chiama ad Assisi gli appartenenti a tutte le confessioni del mondo per una giornata di preghiera, di festa e di riflessione comune. Animisti, rabbini, bonzi, imam, shintoisti, sikh... La città di san Francesco il 27 ottobre del 1986 si trasforma in un crogiolo di fedi e di colori, con 160 membri ufficiali in rappresentanza di 60 delegazioni. Un susseguirsi di incontri e di preghiere, che darà vita all'impostazione teologica detta «spirito di Assisi» e che si ripeterà nel gennaio 2002. Gli appuntamenti di massa con il popolo di Dio costituiscono dunque uno dei centri del pontificato del Papa polacco, in un'opera di evangelizzazione concepita come continua ricerca di momenti di contatto diretto, fisico con l'umanità. In questo quadro si inserisce la creazione della Giornata Mondiale della Gioventù, tra le eredità più potenti lasciate alla Chiesa da Wojtyla, figlia naturale della sconfinata passione del Papa polacco per i ragazzi: «I giovani sempre mi ringiovaniscono, in essi si riflette la gioia originaria che Dio ebbe creando l'uomo». Tra i ragazzi e il «Papa venuto da lontano» il feeling è assoluto, continuo, indistruttibile. Dopo due convocazioni «di prova», nel 1985 Giovanni Paolo II ufficializza la nascita delle Gmg con la «Lettera apostolica ai giovani e alle giovani del mondo». Buenos Aires, Santiago de Campostela, Czestochowa, Denver, Manila, Parigi, Roma, Toronto: lui li chiama per otto volte e i giovani accorrono ovunque in massa, entusiasti per una mobilitazione che, a Manila, supera perfino i due milioni di presenze. Il «Papa dei giovani», lo hanno chiamato anche così. E forse il rimpianto più forte di Giovanni Paolo II morente è stato non poterli incontrare per la nona volta a Colonia, dove li aveva convocati per il 2005. Nel frattempo prosegue in questi anni l'elaborazione teorica dei fondamenti della dottrina cattolica e la loro applicazione alla modernità, attraverso l'emissione di encicliche, costituzioni apostoliche, documenti. Al contrario di quanto alcuni hanno voluto sostenere, ponendo l'accento esclusivamente sul suo straordinario ascendente pubblico e personale, Giovanni Paolo II era infatti uomo di vastissima preparazione intellettuale e di solide basi teologiche. Dopo il «trittico trinitario» degli anni 1979-1986, che comprende le encicliche «Redemptor hominis», «Dives in misericordia» e «Dominum et vivificantem», Wojtyla pubblica le tre encicliche sociali: «Laborem exercens», «Sollicitudo rei socialis» e «Centesimus annus», nel centenario della «Rerum Novarum» di Leone XIII. In esse il Papa conferisce al lavoro un significato non solo economico, ma anche sociale, morale, antropologico. Dopo la caduta del «socialismo reale», Giovanni Paolo II sembra adesso volgere lo sguardo alle distorsioni e alle iniquità del «capitalismo reale». 5-continua