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Le isole giardino abitate dai fantasmi Sono la Bisentina e Martana, nel lago di Bolsena. Boschi, regine uccise e Templari

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Profumodi fiori, intrico di rami, fruscio di foglie animate dai refoli. Natura rubensiana, ora che esplode la primavera. Ma s'insinua un'ombra sulle due isole del Lago di Bolsena, il più grande degli «occhi» vulcanici italiani. Un alito strano fa vibrare i boschetti, increspa le acque attorno agli approdi. Qui ci sono stati morti. Qui, in una buca di fango, sono stati imprigionati da Santa Romana Chiesa eretici e anticristo. Qui un templare fu tenuto segregato, in cima a una torre. E allora i fantasmi del passato si saldano alla storia e all'arte. Ce n'è tanta, di storia, nelle lingue di terra cullate dallo specchio lacustre. Questi luoghi, sullo sfondo dei monti Volsini, segnavano i confini dello Stato della Chiesa con la Toscana. E riproducevano, nell'amenità del territorio, le beghe e le teofanie dei potenti che facevano ansimare Roma. Gli estruschi e gli antichi romani lasciarono il posto, nel IX secolo, agli abitanti di Bisenzio, che diedero così il nome ai 17 ettari dell'isola più grande, con il suo bel monte Tabor - alto 57 metri - e la forma quasi a stella. A metà del Duecento se ne appropriò papa Urbano IV. Poi passò nel '400 ai Farnese, che ne fecero luogo di delizie: giardini all'italiana, le chiese di Antonio Sangallo il Giovane e del Vignola, capaci di firmare perfino il tempietto circolare sullo sperone più elevato. Si costruirono sette chiese, tante quante quelle visitate a Roma dai pellegrini. Bisentina a gloria di Dio e dei Papi. Ma anche prigione diabolica, la Malta del Papa. Un pozzo scavato carotando il fango. Ci buttavano dentro gli eretici, condannati per sempre al buio, spezzato solo dalla lama di luce che penetrava da un foro. Si consumò qui l'esistenza di Ranieri Ghiberti, maestro templare messo in ceppi nel 1265. Ancora più lugubre quel che avvenne a Martana, l'isola più piccola e più vicina alla terraferma. Amalasunta, la regina dei Goti che prese il potere alla morte del padre Teodorico, vi fu segregata e poi fatta strangolare dal cugino Teodato, duca di Tuscia. A lavare il sangue sorse un convento di agostiniani. «Ma la leggenda degli spiriti diverte i turisti, che mi chiedono di raccontare», dice Stefano Checquolo, storico traghettatore del lago di Bolsena. Dal 1989 con le sue barche a motore conduce i visitatori a ridosso delle sponde. «A Martana vogliono sapere di Amalasunta, alla Bisentina dell'abate Angelario, custode del Papa. Dei Templari schiattati dentro al pozzo e del sepolcro di Ranuccio Farnese. Io gli faccio circumnavigare le isole. Il posto migliore per fare il bagno è di fronte alla chiesa maggiore, quella di San Giacomo e Cristoforo. Ora la Bisentina è poco frequentata. La proprietaria, la principessa Angelica Del Drago, è anziana e non viene quasi più. Da giovane andava a portare i viveri ai rifugiati nella cavità di un lecci millenario. Storie di guerra. Negli anni Novanta invece qui era un set. Si tenevano concerti, arrivavano ministri, nobili, perfino gli eredi degli Zar di Russia». La musica che usciva all'improvviso dagli scorci lussureggianti dell'Isola Bisentina creava atmosfere dannunziane. Le stesse che hanno ispirato a Laura Stor, artista romana, una serie di incisioni. Ora è più difficile scendere dalla barca e addentrarsi nel verde. Anche la Martana è di proprietà privata, una società formata da un avvocato romano e facoltosi residenti di Viterbo. Ma resta la suggestione del paesaggio, che esalta tutti i centri attorno al lago: Montefiascone, Bagnoregio, la cattolicissima Bolsena. Sui prati vicini alla riva i canneti oscillano leggeri e alla loro ombra fiorisce il ranuncolo e nidificano i passeri. Tra i rami volano folaghe, aironi cinerini, colombi, gabbiani, cigni. Gracidano le rane, striscia la biscia, s'acquatta la testuggine. E le osterie servono in guazzetto o al forno le carpe, le tinche, i lucci pescati nel lago che per la sua biodiversità è stato proposto nel 2005 come sito di interesse comunitario. La leccornia sono le anguille, le stesse che fecero spedire al Purgatorio papa Martino IV. Parola di Dante, appunto nella seconda cantica, XXIV: «Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia / dal Torso fu, e purga per digiuno / le anguille di Bolsena e la vernaccia».

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