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L'altare della Patria

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diFRANCO CARDINI Non prendetela come la solita uscita di un «cattolico arrabbiato» che ce l'ha col Risorgimento. Non si tratta affatto di questo. Ho un rispetto profondo e un'autentica pietà per quelle ossa anonime che giacciono dietro la grande lastra marmorea del Vittoriano: il «Milite Ignoto», che ci rappresenta tutti, gli italiani che hanno condiviso il suo calvario di guerra e quelli a venire. Tuttavia diffido - e questo sì ch'è un atteggiamento «cattolico» - di tutto quel ch'è «religiosità civica», per quel tanto di equivoco, di concorrenziale e (a dirla tutta) di massonico che ciò comporta. Non mi piace inginocchiarmi davanti a cose che non hanno direttamente a che vedere con Dio. Non mi piace quell'immenso candido emiciclo di scalinate e di colonne per erigere il quale si dovette rovinare mezzo colle capitolino e sacrificare parte del convento dell'Ara Coeli. Mi sembra blasfema e neopagana quella ricostruzione kitsch del tempio della Fortuna di Palestrina e dell'ara di Pergamo dell'architetto Giuseppe Sacconi e che i romani ribattezzarono impietosamente «la macchina da scrivere». Per me, il Vero Altare della Patria è piuttosto un altro: quello ad alimentar le lampade attorno al quale ogni anno, a turno, regione per regione, gli italiani recano il dono dell'olio. Là, sul colle di Assisi, nelle viscere della splendida basilica inferiore: là dove dormono le spoglie di uno dei pochissimi Uomini che - al pari del Buddha, del Cristo, di Muhammad - hanno davvero sconvolto la storia. Alter Christus, lo dissero già ai suoi tempi; per noi italiani, il primo e uno dei più grandi poeti nella nostra lingua, il santo nel cui nome e nella cui figura il nostro popolo ha saputo riconciliarsi con se stesso proclamandolo patrono dopo che le tensioni tra patrioti e cattolici nel Risorgimento ne avevano lacerato le coscienze. Eppure, Francesco non avrebbe mai voluto quest'onore. E forse non avrebbe mai voluto riposare nemmeno nella sua tomba-altare di grigia e dura pietra, in una profonda e solenne cripta. Quando morì, quella sera lontana del 3 ottobre del 1226, ai piedi della sua città il cui profilo di pietra rosata aveva forse cercato con sforzo, prima di chiudere per sempre gli occhi tormentati dal tracoma, volle solo esser deposto nudo per terra. Ma dei corpi dei grandi s'impadroniscono sempre gli altri: le folle, la storia. Talora per farne scempio, talaltra per onorarli al di là delle speranze e dei desideri di chi li ha abitati. Attorno alle spoglie mortali di Francesco, sulla sua tomba, nacque un'immensa basilica più tardi impreziosita dagli affreschi di Giotto. Eppure, egli aveva sempre vietato al suo ordine di costruire ricche e belle chiese: non aveva nulla contro lo sfarzo e la ricchezza delle case di Dio, ma a sé e ai suoi seguaci aveva riservato il puro, nudo splendore di Madonna Povertà. Il Sacro Convento d'Assisi, nella cripta del quale giacciono le spoglie di Francesco, fu dunque - «visto da sinistra» - un tradimento profondo del suo spirito e della sua volontà. Ma fu anche - «visto da destra» - l'omaggio a un santo tanto eccezionale da venir canonizzato appena due anni dopo il suo transito da questo mondo e alle cui reliquie si prevedeva sarebbero giunti pellegrini e devoti da tutto il mondo e per sempre. Così è difatti avvenuto. Certo, oggi si direbbe ch'erano entrambi «di destra» gli artefici di quella devota e monumentale soluzione: il cardinale Ugo d'Ostia. Protettore dell'Ordine dei Minori e divenuto quindi papa col nome di Gregorio IX; e frate Elia da Cortona, una personalità sulla quale non si è ancora cessato di discutere ma che certamente amava profondamente Francesco ed aveva ricevuto da lui la consegna di guidare chi aveva scelto di seguire la «dura intenzione», come la chiama Dante, cioè la regola dei frati dal saio bigio. Ad entrambi, molti storici hanno contestato l'addebito di una progressiva «chiericalizzazione» dell'ordine dei minori, che ne ridusse la forza carismatica e profetica e che, non a caso, puntò anzitutto ad attenuare la fondamentale e primaria vocazione alla povertà assoluta. D'altro canto va detto che gli Ordini mendicati - il francescano e il domenicano - collocandosi in una prospettiva di rigorosa disciplina rispetto alla santa sede, contribuirono in modo decisivo al rinnovamento della vita della Chiesa e alla vittoria su quell'assalto ereticale che, nel corso del XII secolo, aveva dato l'impressione di travolgerla. È molto probabile che Ugo ed Elia abbiano reinterpretato lo stesso impianto urbano di Assisi, che l'edificazione del Sacro Convento obbligava a ridefinire. S'impone difatti all'attenzione di tutti il fatto che la facciata della basilica guarda verso est, verso il sole nascente: è, nel primo Duecento, un'incredibile infrazione a una norma di base dell'edilizia sacra, che voleva le chiese cristiane «orientate», vale a dire con l'abside volta verso Gerusalemme e, di conseguenza, la facciata inondata a ovest dal sole pomeridiano. La basilica francescana fa perfettamente da pendant alla chiesa vescovile, San Rufino, edificata nella parte più alta di Assisi, quella orientale, e la cui facciata guarda correttamente verso ovest. Ma per la chiesa di Francesco si scelse di ampliare la città verso occidente, nelle bassure d'una località poco amena denominata, fino ad allora, «l'Infernaccio»: un luogo depresso e disprezzato, scelto adesso in segno appunto di umiltà. Il fatto è che, così disposta, la planimetria di Assisi viene a somigliare straordinariamente a quella di Gerusalemme, in cui la basilica della resurrezione (il «Santo Sepolcro»), sita anch'essa ad ovest, guarda con la sua facciata (adesso irriconoscibile perché distrutta) verso est, cioè verso la «spianata del Tempio»). Un'analogia che richiama al fatto che, se Francesco è alter Christus, la sua tomba è un nuovo Santo Sepolcro. E difatti, di lì a poco, ai visitatori di Assisi sarebbe stata concessa un'indulgenza plenaria, il «Perdono», come fino ad allora si poteva lucrare soltanto andando pellegrini in Terrasanta. In questo modo, Assisi si proponeva davvero come nova Jerusalem. Dante lo dice chiaramente, quando definendo Francesco un nuovo sole: «chi d'esto loco fa parole - non dica Ascesi, che direbbe corto - ma Oriente».

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