Emile Cioran l'esteta della catastrofe conquistò la Francia
Inparticolare in Francia e in Italia, forse come risarcimento di antiche diffidenze. Vediamone le ragioni. Lo scrittore rumeno arriva a Parigi nella prima metà degli anni Trenta: laureato in filosofia all'Università di Bucarest con una tesi su Bergson, ha ottenuto una borsa di studio ed è venuto nella «douce France» ad approfondire la sua conoscenza della lingua e della letteratura francese. Ma il nostro giovanotto di belle speranze è anche un intellettuale militante. Per essere ancora più precisi un fascista. Affascinato da Mussolini, da Hitler e dalla Guardia di Ferro, il movimento di estrema destra creato dal suo conterraneo Corneliu Zelea Codreanu. Insomma, alla fine degli anni Quaranta, Cioran è uno dei tanti «vinti» della Seconda Guerra Mondiale, un intellettuale che ha sulle spalle il peso di scelte «scomode», un rumeno che dopo la vittoria comunista nel suo Paese è stato costretto all'esilio. Imperdonabile Cioran? Bè, a dire il vero, la Francia non tarda ad assolverlo. Sarà che a partire dal 1947, Cioran, abbandonata la lingua rumena, scrive in un francese di assoluto nitore, degno di figurare tra i «classici»; sarà che è capace di trasformare in aforismi geniali uno scialo di inquietudini, itinerari nel mal di vivere, angosce, ricognizioni nelle assurdità quotidiane, devastanti malumori, dissacrazioni religiose, filosofiche, ideologiche; sarà che è davvero uno spirito libero che dichiara guerra a tutti i conformismi: fatto sta che già nel 1949, ben figura nelle Edizioni Gallimard con una sorta di auto-ritratto al vetriolo come «Précis de décomposition». Ovvero quel «Sommario di decomposizione» che in Italia sarà pubblicato nel 1996, da Adelphi, la casa editrice che negli anni Ottanta ha «sdoganato» il «barbaro dei Carpazi». C'è la vita e la voglia di fuggirne, il vorticoso abisso del Nulla e il varco offerto dall'intelligenza caustica e derisoria, l'autarchia, la tentazione di esistere, gli interrogativi lancinanti che sono un cartello di sfida. Tutto un materiale incandescente di cui Antonio Di Gennaro ha saputo fare un intelligente inventario in un libro pubblicato in questi giorni («Metafisica dell'addio. Studi su Emil Cioran»). Ma Cioran non è soltanto uno Stilista del nichilismo che lancia strali contro i «demiurghi malvagi» che ci hanno condannato a vivere. Perché lui, il Depresso per natura, vocazione e convinzione, la vita l'ha vissuta, con tutto il corredo di emozioni, desideri, passioni. «Fare i conti» con Cioran significa dunque ricordare anche la sua vitalità di giovane militante e di anziano «innamorato pèrso», stregato dai begli occhi di una ammiratrice, che gli regalò le ebbrezze del desiderio e dell'impossibile.