Karol Wojtyla per sempre

seguedalla prima di RAFFAELE IANNUZZI (...) una parte significativa della sua vita e, oggi, si trova di fronte quel mondo disgregato che Wojtyla ha battezzato con la sua mistica storica. L'ermeneutica della continuità è d'obbligo. Papa Benedetto ne ha ribadito i principi in un celebre discorso del 2005, facendo riferimento al Vaticano II. Espandendo la misura di questa intelligenza storica, si può applicare questo criterio alla linea Wojtyla-Ratzinger. Tutto è continuo e discontinuo nella storia e nella Chiesa. Se il Papa polacco ha tirato per i piedi fin nella fossa il comunismo, diventando alfiere della rivolta cattolica e operaia di Solidarnosc, Ratzinger non ha mancato, negli anni '80 del secolo ormai alle nostre spalle, di legittimare teologicamente la tessitura e l'ordito tradizionale della fede della Chiesa. Papa Wojtyla è una figura complessa. Non la si può catalogare banalmente, né classificare con le solite stereotipate categorie sociologiche destra/sinistra; conservatore-progressista; si rischia di perdere di vista la portata complessiva di una vita spesa al servizio di Dio, della verità e della storia. Perché appunto di questo stiamo parlando: della storia. Del presente come storia. Il corpo dilaniato dalla malattia di Giovanni Paolo II ha segnato la storia. La memoria delle sue sofferenze ha dilatato gli spazi della Chiesa. La Chiesa è «cattolica» in quanto universale. Questo significa «cattolico»: universale. Ma, in forza della missione salvifica ad essa consegnata dal Fondatore, Gesù, la storia è coinvolta nella costruzione dei suoi stessi confini. Ogni uomo è nella Chiesa, in potenza; ogni cattolico abbraccia l'uomo che incontra come creatura di Dio. Questa duplice apertura è stata scandagliata da Giovanni Paolo II nella prima enciclica, «Redemptor hominis», a un soffio dalla grave crisi italiana ed europea. In Italia avevamo ancora negli occhi la realtà del corpo martirizzato di Aldo Moro accatastato nel bagagliaio di una macchina. In Polonia, c'erano i primi scossoni al regime comunista. Il fenomeno della distruzione di mondi e gabbie d'acciaio è sempre carsico. Così è stato anche con il comunismo: il 1989 ha ratificato la lunga marcia di Wojtyla, anticipatore della battaglia spirituale contro la violenza comunista e, nello stesso tempo, profeta di un mondo nuovo. Con molta critica sbattuta in faccia al mondo occidentale, sazio e disperato. Il nichilismo l'ha ingoiato quasi per intero. Ratzinger è partito da qui, da questo preciso punto storico. Continuità nella frattura storica o, forse, per meglio dire, nell'accelerazione storica di un processo che ha reso la domanda del filosofo Leibniz, ripresa da Heidegger - «Perché l'essere anziché il nulla?» - la meno scontata del mondo. La «dittatura del relativismo» è il prodotto storico della breccia del 1989. Finito un mondo - le grandi narrazioni universali - non è rimasto in piedi l'individuo, come predicavano i «Nouveaux Philosophes» e gli altri ideologi progressisti. Wojtyla ha dovuto pensare alla Chiesa come mondo da salvare e intelligenza universale dell'umanità; Ratzinger deve oggi occuparsi dell'altro corno della realtà, vale a dire la fede nella sua destrutturazione di dogma e vissuto concreto. Non basta più aggregare, oggi, occorre ripercorrere il sentiero della verità, non confondendolo con i sentieri interrotti delle false dottrine. È l'ora dell'et-et cattolico. Ogni Papa lo sa. Papa Wojtyla ha sprigionato la forza coesiva dell'et-et, afferrando il bandolo della matassa della storia umana e riconducendolo a Dio. Papa Benedetto ripensa il dogma e la dottrina con una forza carismatica sapienziale vigile e capace di travolgere la scontatezza del quotidiano. Sbaglia chi soppesa sulla bilancia il carisma dell'uno, contrapponendolo alla scienza dell'altro. I carismi sono tali perché efficaci, in grado di produrre effetti duraturi sulla vita degli uomini e sulla storia.