Quando la vita è «un'addizione a perdere»
Datre anni è finita la guerra, la donna, che ha combattuto con i partigiani, vive sola, in un casolare nella campagna di Città della Pieve, con i propri ricordi e l'unica compagnia di un cane randagio. Ma un giorno di maggio, sotto un cielo «buono», il postino le recapita una lettera che viene dall'Argentina: è di Spaltero, il giovane «bello come un attore del cinema», che una volta le ha dato un bacio «lunghissimo» e indimenticabile e che ora le chiede di sposarlo. E così Alcina sale su una nave e va verso lo «scherzo» dell'orizzonte, verso il suo destino nell'altra parte del mondo. È «una che parla con i morti», la protagonista di «Tutta la vita» (Longanesi, pp. 125), il nuovo romanzo di Romana Petri, che tra ben custodite riserve di riflessioni esistenziali e un insopprimibile riemergere del passato, fa l'appello di un folto numero di personaggi (memorabili quelli dello scrittore Toni, cui fa da «medicina» l'ascolto delle vite degli altri e della moglie, l'altezzosa e lunatica Francisca), non dimenticando il sorriso, ora acrobatico e vibrante, ora tenero e malinconico, e cercando pure un robusto confronto con la «felicità dei corpi». Attrezzata all'uso fluente delle più canoniche tecniche narrative (dal racconto nel racconto, agli spiazzamenti delle interruzioni e riprese, all'alternanza di lenticolare cronaca e sfaldamento del referente più comune), Romana Petri non piega le illustrazioni protratte a una funzione decorativa, bensì le fa rientrare spesso nel ruolo di raccordo e sostegno delle parti salienti delle quali talora paiono prefigurare il vago senso di allarme e soprattutto il motivo del «rimescolamento del tempo», del dominio dell'oltretomba. Capace di avvertire quel «ritmo» di alito e brezza che molto somiglia all'«addestramento atletico del vivere», la prosa riunisce vari toni, accarezza un lessico lieve e musicale e, insieme, si imbatte nella ruvida sostanza del reale. Attenta ai fruscii della natura e al «travolgimento» dell'ignoto, al «dolore cercato dentro a un libro» e al «vero della fantasia», modula la tastiera del mistero, scova sfumature e patisce pure qualche opacità là dove fa dilagare l'ideologia politica cui si devono episodi forzati, sovrimpressi: pensiamo ai dilatati spazi concessi alla situazione dell'Argentina sotto la dittatura, con il coinvolgimento di figure di comodo. Ma il livello resta alto quando si ripresentano le nostalgie che compaiono dal nulla «come un respiro andato di traverso che affretta il cuore», e le reticenze che si costruiscono per soffrire meno; il dolore che, sovrano, non trova confini, e le fibrillanti ore delle attese e gli antichi sogni.