La realtà si riflette nell'acqua e vi resta come sospesa.
ÈVenezia, la città d'elezione di Josif Brodskji, pubblicato in Italia da Adelphi e amico di Roberto Calasso. Nato a Leningrado nel 1940, il poeta fu condannato nel 1964 ai lavori forzati con l'accusa di parassitismo e poi espulso dall'Urss. Naturalizzato statunitense nel 1977, ha viaggiato e vissuto in molti luoghi, tra cui la città lagunare, cui ha dedicato l'appassionato libretto "Fondamenta degli incurabili". Nell'acqua dei canali l'uomo si specchia, si riconosce, ma pure si vede lontano. E questa è in realtà anche la condizione dell'esule. Brodskij infatti intendeva l'esilio come qualcosa di più profondo di una vicenda biografica. Esilio come forma della condizione creativa del poeta e che traduce il rapporto viscerale di uno scrittore con la sua realtà. L'esilio per Brodskji era la focale della conoscenza del mondo e del destino dell'uomo. Paradossalmente si traduceva quindi nell'opportunità di un cambiamento di prospettiva e garantiva una preziosa indipendenza di giudizio sulle cose della vita. «L'esilio è una condizione metafisica (...) e chi la ignora o la elude bara con se stesso, si nasconde il senso di ciò che gli è avvenuto, si condanna a rimanere per sempre un oggetto passivo, si ossifica nella condizione di vittima incapace di comprendere». Mentre invece la poesia serve proprio a conoscere; il poeta vero capovolge così la pressione avvilente e diventa protagonista, rivendicando la sua umanità e la sua capacità di conoscenza e di espressione. L'esilio lo spinge ad uscire definitivamente dall'isolamento, lo porta al confronto diretto con la sua lingua senza nessuna mediazione. Invero per Brodskij «l'esilio è, prima di tutto, un evento linguistico: uno scrittore esule è scagliato, o si ritira, dentro la sua madrelingua ". Il poeta si volge tutto alla lingua, per ravvivarla e ossigenarla costantemente e conseguentemente per ampliarne i territori. Brodskji riconosceva come valore primo la lingua ed affermava che lo scrittore ne è soltanto uno strumento (così in "Fermata nel deserto", 1970). Poeta della morte, dell'amore, del dolore, dell'inesorabile passare del tempo, si dichiarava "affetto da classicismo normale", pur mantenendo la più assoluta libertà di espressione. Le vicissitudini biografiche lo avevano reso forte e distaccato dalle diatribe del mondo letterario, dagli esperimenti delle avanguardie; quindi libero di dire che "l'estetica è la madre dell'etica" e non tutto è permesso in estetica quindi nell'etica, perché "il numero dei colori nello spettro solare è limitato". Insignito del Premio Nobel nel 1987, nominato Poeta Laureato negli Stati Uniti nel 1991, Brodskji è improvvisamente morto nel suo appartamento di Brooklyn nel 1996. Ma per sua volontà le spoglie riposano oggi nell'isola di San Michele, nella sua Venezia. Oggi e domani l'Accademia Americana di Roma renderà omaggio a Brodskji (che vi ha risieduto nel 1981) con l'intervento e le letture di sei scrittori internazionali. La Capitale fu molto importante per lui che scrisse una volta: «La cultura italiana è davvero la madre dell'estetica russa». Nel 1995 si appellò a Rutelli, sindaco di Roma, per chiedere un intervento utile alla creazione di una Accademia di Russia che offrisse la possibilità di studio perché, come scrisse a Rutelli, «l'Italia è stata una rivelazione per i Russi: ora può diventare la base per la loro rinascita». Un desiderio reso possibile dal lascito della moglie dello scrittore, Maria Sozzani, alla quale si deve la foto pubblicata in questa pagina.