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Fatima Bhutto e le Canzoni di sangue

Fatima Bhutto

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Arriva oggi in Italia Fatima Bhutto per presentare il suo libro «Canzoni di sangue» (Garzanti, pagine 530, 18,90 euro). La 28enne scrittrice e giornalista racconta il destino tragico della sua grande e potente famiglia con lo sguardo appassionato di una donna di profonda sensibilità. Ricordando «mio nonno Zulfikar Ali Bhutto giustiziato nel 1979. Mio zio Shahnawaz Bhutto ucciso nel 1985. Mio padre Mir Murtaza Bhutto assassinato nel 1996. Mia zia Benazir Bhutto assassinata nel 2007». Quando venne ucciso suo padre lei aveva solo 14 anni. Si trovava a pochi passi dal luogo dell'attentato. Quell'episodio, che ha segnato la sua vita, è anche una delle pagine più torbide della storia del suo Paese, il Pakistan, crocevia strategico della politica mondiale. Il suo libro vuole essere un gesto d'amore (e di giustizia) di una figlia verso il padre ma soprattutto il racconto del destino feroce di una potente e grande famiglia che sembra rievocare le tragedie degli Atridi, gli intrighi dei Borgia o i drammi di Shakespeare. Fatima racconta con decisa esasperazione la fine di suo nonno Zulfikar Ali che, dopo aver guidato il Paese, è stato torturato e giustiziato dal generale golpista Zia ul Haq. Anche suo zio Shahnawaz, come suo padre Murtaza e sua zia Benazir vennero assassinati. Discendenti da una casata di guerrieri, i Bhutto possiedono grandi territori nella regione del Sind e, dopo l'indipendenza, la famiglia intera è stata al centro della vita politica del Pakistan, tra violenze, corruzioni, complotti e faide sanguinose. Tutto dominato da un potere arcaico e quasi feudale, intriso di torbide lotte politiche, tra instabilità, conflitti interni e minacce dall'estero. Per lei, scrittrice, poetessa e giornalista pakistana di origine afghana che vive a Karachi, «emancipazione politica significa rifiutare i poteri militari, di sangue e ingerenza straniera».   Secondo quello che è definito il «culto Bhutto», il potere viene invece tramandato come in una famiglia reale. Ma Fatima rimprovera sua zia Benazir, dopo che si rifiutò di parlarle alla morte del padre: e già prima, Benazir ruppe i rappoti con i suoi fratelli, uno dei quali era il padre di Fatima. La scrittrice accusò pubblicamente, in passato, la zia Benazir (al tempo primo ministro) di quell'omicidio. Poi, anche Benazir venne uccisa poco più di 3 anni fa (27 dicembre 2007). «Quando la polizia lavò la strada - ha raccontato Fatima - eliminando così le prove dell'omicidio di mio padre, chiamai, furiosa, Benazir. E lei mi disse: "Questa non è Hollywood, così si fanno le cose in Pakistan». Un'altra volta, esternando la sua ossessione per la rivalità politica con il fratello, Benazir confessò a Fatima: «Se arrivi al potere per le tue credenziali genetiche, allora non c'è posto per due eredi». Mentre di sua madre Fowzia, Fatima non ha ricordi, andò via quando lei aveva solo 3 anni: per lei oggi c'è «solo Ghinwa, la donna che mio padre ha sposato in seconde nozze». Fatima poteva aspirare al trono dei Bhutto, ma ha preferito rispettare la memoria di suo padre. E scrivere del suo Paese, «perché il Pakistan è quello meno capito al mondo». Preferisce colpire la sua dinastia attraverso la penna, soprattutto se a incarnarla oggi è lo zio presidente Asif Zardari, di cui lei non dimenticherà mai l'insensibilità con cui al telefono le disse: «Ah, non lo sai? Hanno ucciso tuo padre».

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