Urbano VI, il papa che trascinò l'Europa nello scisma
Questeerano le grida che avreste udito nell'aprile del 1378 per le strade di Roma, una città "corrotta e decadente, teatro di interminabili lotte tra famiglie rivali". Il tutto dopo settan'anni di "Cattività avignonese" e di papi asserviti ai re francesi. È su questo scenario che emerge in una biografia documentatissima la figura di Urbano VI, al secolo Bartolomeo Prignano. A raccontacela in pagine avvincenti come un romanzo è un suo diretto discendente, Mario Prignano, nel saggio: "Urbano VI. Il papa che non doveva essere eletto" (Marietti Ed, pp. 296 25) con una prefazione di Giovanni Maria Vian. Gregorio XI, francese, sospinto dalle suppliche di S. Caterina da Siena, aveva appena riportato il Triregno in Vaticano. Alla sua morte il populus romanus aveva reclamato di diritto un pontefice "almanco italiano" e il Conclave glielo aveva dato "napoletano". Dopo burrascose sedute funestate da sinistri presagi (un fulmine aveva colpito la sala delle elezioni e un piccione nero aveva spento il lume sulla tomba di San Pietro), i presuli avevano eletto inaspettatamente Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, inaspettatamente, perché non era nemmeno un cardinale. Il nuovo papa, col nome di Urbano VI, si dimostrava autoritario, vendicativo e soprattutto stretto di borsa. Voleva imitare Gregorio VII e Innocenzo III nel riformare la Chiesa, purificarla, finiva invece per essere il protagonista del più grave scisma che essa avesse mai vissuto. E infatti gli stessi cardinali che lo avevo acclamato pochi mesi prima gli voltavano le spalle eleggendo al soglio papale Roberto di Ginevra, Clemente VII, che fuggiva di gran carriera alla volta di Avignone. La cristianità si ritrovava bicefala non sapendo se votarsi all'obbedienza romana o a quella avignonese. La Chiesa e l'Europa erano trascinate in una lotta che sarebbe durata anche dopo la morte, forse per avvelenamento, di Urbano VI.