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La lingua italiana sulle ali della Chiesa

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diLUCIO D'ARCANGELO L'italiano è anche, grazie alla Chiesa, una lingua internazionale: un fatto al quale non si è prestata la dovuta attenzione e che anzi spesso viene del tutto trascurato. In realtà, il contributo ecclesiastico alla formazione ed alla diffusione della nostra lingua è stato rilevante in passato non meno di oggi. Il volume a più mani uscito in questi giorni, «L'italiano nella Chiesa fra passato e presente» (Allemandi) curato da Massimo Arcangeli, lo dimostra chiaramente e senz'ombra di equivoci. La storia dell'italiano viene ripercorsa attraverso la presenza religiosa, che, strada facendo, si scopre decisiva in non pochi momenti di oblio della coscienza nazionale. Il libro comprende un articolato excursus che va dalla lingua ecclesiastica di età medievale alle "molte lingue" dei catechismi fra '500 e '700 ed all"acculturazione femminile" delle congregazioni religiose nel XIX secolo fino ad arrivare ai temi odierni: la diffusione dell'italiano nel mondo attraverso la religione, la politica linguistica della Santa Sede e gli "stili" comunicativi degli ultimi due Pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sin dal Medioevo si profila la funzione mediatrice svolta dalla Chiesa tra latino e volgare, tra liturgia e popolo dei fedeli. Alla base c'è l'esigenza, o il criterio, della comunicabilità che, attraverso la retorica, tende in qualche modo a codificare gli usi del volgare, limitato sostanzialmente alla predicazione, ma non del tutto escluso dalla scrittura. La rinuncia a volgarizzare i testi sacri , in contrasto con Lutero, viene generalmente imputata al Concilio di Trento (1542-63), inteso unicamente alla sistemazione dottrinale. Ma l'insegnamento religioso dovette comunque adeguarsi all'uditorio e ciò contribuì a diffondere, sia pure indirettamente, la conoscenza dell'italiano. Soprattutto l'insegnamento catechistico permise ai fedeli un'esposizione costante all'italiano ed il dialetto, pur non rifiutato, non sostituì mai la lingua comune. La Chiesa, quindi, seguitò a svolgere un ruolo preminente anche se, ovviamente, strumentale, nella diffusione di quella che sarà la lingua nazionale, e ciò avverrà fino ad Ottocento inoltrato attraverso i Seminari e le congregazioni religiose in cui "un'ampia quota di forme e lessico dell'italiano raggiunse un alto numero di fedeli". Anche dopo l'unità d'Italia la Chiesa ha seguitato a sostenere in modi diversi ma non meno efficaci la nostra lingua. Nonostante la tendenza (postconciliare) ad eliminare l'italocentrismo, oggi la lingua italiana esercita nella Santa Sede una "naturale" egemonia, che anzi, sotto certi aspetti, si è rafforzata. Nelle Università e nei collegi e seminari pontifici, ad esempio, in cui c'era una secolare tradizione didattica in latino, oggi i corsi sono tenuti in italiano. Inoltre la Santa Sede contribuisce alla diffusione della lingua italiana nel mondo attraverso il clero, l'attività missionaria e i discorsi ufficiali dei Pontefici, universalizzando la lingua di Dante anche attraverso i media. Come scrive Antonella Pillia nel saggio conclusivo, "i temi affrontati da papa Wojtyla e papa Ratzinger sono universali e interessano gli uomini, indipendentemente dalla loro fede". Le parole-chiave dei loro discorsi alle folle sono termini di uso comunissimo: amore, bene (e male), comunione, dialogo, fede (e fiducia), gioia, giustizia, libertà, luce, misericordia, pace, peccato, riconciliazione, speranza, unità, verità, certo connotati in un senso fortemente religioso, ma trasparenti e pronunciati in una lingua viva che è la nostra.

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