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Ciao regina della canzone

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Nilla Pizzi

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Al Festival di Sanremo dello scorso anno, a 90 anni compiuti, Nilla Pizzi salì per l'ultima volta sul palco dell'Ariston. Quell'incedere incerto, quell'entrata faraonica con tanto di valletti vestiti a festa parve a tutti un'esagerazione di Lele Mora, amico e confidente della cantante. Iperbole forzata di una rassegna che compiva sessant'anni. Eppure, come per magia, l'anziana Regina, catapultata sul palco per quelle regole non scritte ma chiare a tutti dello show-business, appena afferrato il microfono per accennare «Grazie dei fiori» sbalordì ancora una volta: la voce non ballava, l'intonazione sicura, il timbro lo stesso del disco. Meraviglia del creato, con il pubblico in piedi, Nilla Pizzi dimostrò a tutti di che pasta è fatta una vera cantante. «Sono nata nel 1951 con il Festival di Sanremo, prima non esistevo», era solita ricordare, riferendosi ovviamente al suo trionfo nelle prime due edizioni e ai successivi ritorni. In realtà proveniva da una lunghissima gavetta, prima e dopo la guerra, dalla natia Sant'Agata Bolognese al primo concorso vinto all'Eiar (non ancora Rai) nel 1942 all'esordio discografico nel 1944, già sotto la guida del maestro Angelini. Diventerà «regina della canzone» dopo i trionfi a Sanremo e lo sarà per tutti gli anni Cinquanta, grazie alla potenza e all'espressività della sua voce e alle oltre quattromila canzoni incise nella sua lunga carriera. Cantare, essere la n.1 ai tempi di Nilla Pizzi non era come adesso. I cantanti venivano tutti dalla radio, non si conoscevano i loro volti, quasi non si pubblicavano fotografie, non c'era la tv, in compenso quelle loro vecchie care canzoni non erano tutte da buttar via. E non erano nemmeno tutte facilissime. I loro maestri avevano un concetto della musica molto alto e il loro lavoro e quello dei cantanti veniva ripagato dal pubblico che aveva una gran voglia di cantarle quelle canzoni. Quando pubblicai «Sanremo 50», sul primo mezzo secolo del Festival, le chiesi una prefazione. Accettò con grande entusiasmo e finì per accompagnarmi in varie presentazioni del libro. Nessuno più di lei poteva raccontare lo spirito e le sensazioni di Sanremo, ma il suo punto di vista non era rivolto solo al passato. «Anche con la Rai ho avuto dei lunghi periodi di turbolenza - ricordava puntigliosamente - mi hanno sempre e solo cercata per farmi cantare «L'edera» e «Papaveri e papere». Ho provato a farmi sentire, a dire che ho inciso migliaia di brani, cantati in varie lingue, che avrei potuto esprimermi anche in qualche altro modo. Macchè». Ha cantato tutto quello che c'era da cantare, vinto tutto ciò che c'era da vincere, incarnando un'epoca indimenticabile e professionalmente irripetibile. Forte, coraggiosa, artisticamente generosa, molto sfortunata sentimentalmente. Nel 1939 sposa Guido Pizzi (nessuna parentela), un manovale del suo paese, che dopo poche settimane parte per il fronte. Saprà del suo ritorno soltanto dopo molti anni, quando lei è già famosa e lui si è rifatto un'altra famiglia. Ci sarà qualche pietoso strascico. Vive una love-story con il maestro Angelini che la lancia ma la osteggia negli anni di Sanremo, quando la sua vicenda sentimentale con il collega Gino Latilla infiamma il gossip del tempo. Negli anni Sessanta ha accanto Sante Simeone, che grazie a lei tenta una carriera come autore. Tutti, chi più chi meno, le hanno tolto qualcosa. Affettivamente rimane poco. Rimarrà e molto delle sue canzoni e anche di uno stile e una serietà nell'interpretare il ruolo di cantante ormai estinto.

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