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La scuola? Meglio chiuderla

Giovani liceali

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Un film rimasto nella mitologia del cinema, un po' meno in quella della scuola, «Animal House», del 1978, termina con una battuta agghiacciante. Dopo aver mostrato per un'ora e mezza scherzi, feste, vita sregolata e bugie di un gruppo di studenti che di tutto ha voglia meno che di studiare il film, con una serie di secche didascalie, informa sul futuro dei protagonisti. Il più sciocco, lazzarone, ubriacone della compagnia, tal John Blutarsky (interpretato dal miglior John Belushi della storia del cinema) diventerà... senatore degli Stati Uniti. Quella didascalia, buttata lì alla fine della commedia di John Landis, strappa al pubblico l'ultima fragorosa risata. Ma oggi in Italia, a proposito di scuola, c'è poco da ridere. Una volta, epoca del Basso Impero, diventavano senatori i cavalli. Oggi va a finire che primeggiano i somari, all'insegna di «al peggio non c'è mai fine». La scuola italiana sembra la negazione di se stessa, un'immensa area di parcheggio dove si viene piazzati da piccolissimi e se ne esce cresciuti, nel corpo ma non nella mente, venti e più anni dopo. Insomma la scuola non insegna, la società non seleziona e l'intero Belpaese si ritrova in una specie di medioevo nel quale chi è ricco è ricco e gli altri possono anche studiare, tanto è una perdita di tempo: fanno strada solo i figli di... Questo, più o meno è il pensiero che attanaglia chi si ritrova ad avere a che fare, direttamente o per interposti... figli con la scuola italiana. Impermeabile a qualunque tipo di riforma, egualitaria, multirazziale, pure di sinistra e politicamente corretta... ma che non insegna nulla. Anzi chi parla di insegnare (davvero) e di imparare (sempre davvero) viene anche preso in giro. Ma allora, forse, non è meglio chiuderla, 'sta scuola? Questo pensiero, strisciante, si è presa la briga di metterlo nero su bianco la professoressa di lettere Paola Mastrocola, con un libro lieve e durissimo: «Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare», editore Guanda, 270 pagine, 17 euro. «Oggi se parli di studio, sei subito vecchio. Pesante, lento, bacucco, fuori moda, antipatico e noioso»... è la constatazione della professoressa. E ha ragione. Ma perché questo avviene? Perché la scuola, almeno in Italia, non è più il tempio del sapere, ma il tempio del marketing: la bilancia della vita oggi è sfacciatamente legata ai risultati economici e in un Paese dove ai vertici della catena alimentare sociale ci sono calciatori e veline (e siamone contenti perché c'è anche di peggio), il sapere nel senso puro della parola non solo è inutile: diventa dannoso. Ma allora, si interroga ironicamente la professoressa, perché continuare questa farsa della scuola? Perché continuare a far finta di essere ligi, nelle regole, bravi e studiosi? Una volta i bari in stile John Blutarsky (e teniamocelo stretto perché c'è anche di peggio) la sfangavano, ma erano l'eccezione. Oggi sono la regola: la scuola, il mondo del lavoro, della politica, l'intero Paese sembrano invasi da un'esercito di John Blutarsky, che non sanno più da chi copiare e a chi fare i loro scherzi perché in classe sono tutti come lui. Ma allora diamoci un taglio: «Togliamo il disturbo», insegnanti e studenti, e non se ne parli più. L'amara ironia di Paola Mastrocola sa però trovare anche delle soluzioni. E quelle sì, sono «politicamente corrette». Il riscatto e la rivoluzione della scuola possono partire, come tutte le vere rivoluzioni, solo dal basso. Dai ragazzi. Speriamo che facciano in fretta.

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