Maria Sofia cuore d'Italia
Anita Garibaldi fu ovviamente un'eroina. Vagamente ardimentose furono certo le donne che si iscrissero alla Carboneria, o alla Giovane Italia. Impavide soprattutto furono quelle che addirittura, a Milano e a Brescia, salirono sulle barricate. E a suo modo temeraria fu perfino la contessa Castiglione, l'ammaliante birichina che, istruita dal cugino, il conte di Cavour, andò diciottenne a Parigi a infilarsi nel letto di Napoleone III per incoraggiarlo a sostenere la causa piemontese. Notevole fu anche la Eleonora Fonseca Pimentel, che Rossana Rossanda, intervistata da «D», per dare il suo speciale contributo culturale simultaneamente alla festa della donna e a quella dell'Italia Una, ha definito la più grande italiana di tutti i tempi. Però, diciamo la verità, nessuna delle tante figure femminili del nostro Risorgimento (ricordate fra l'altro in un dvd, intitolato appunto «Il Risorgimento delle donne», che oggi verrà presentato a Livorno), fu intrepida e fiera come Maria Sofia di Baviera, l'ultima regina di Napoli, che pur non essendo napoletana di nascita lo diventò di diritto con la sua performance leggendaria sulla tragica scena degli ultimi giorni di Gaeta. La Maria Sofia di quei giorni piaceva molto persino a Benedetto Croce, che sfoggiò sempre, si sa, un'incrollabile fede unitaria. L'immagine di lei che egli non cessò mai di ammirare era infatti appunto quella dell'incantevole amazzone diciannovenne che nel febbraio del 1861, sui bastioni di quell'ultima ridotta della causa legittimista, assediata e bombardata dai piemontesi, volle partecipare personalmente, rischiando la vita, a quell'estrema, vana resistenza, e in mezzo al fischio delle pallottole, incoraggiando i soldati e soccorrendo i feriti, onorò fino in fondo il suo sventurato destino di ultima regina della Napoli borbonica. Assai meno invece piaceva a Croce la Maria Sofia che sopravvisse per molti anni ancora a quei giorni di gloria e di sconfitta. Irrilevante gli sembrava infatti tutto ciò che le accadde in seguito, dalla caduta di Gaeta fino al giorno della sua morte (che la colse a Monaco, nel 1925, all'età di 84 anni). Ma non era questo, si sa, il parere di Marcel Proust. Che avendola conosciuta a Parigi all'epoca del caso Dreyfuss, in alcune pagine memorabili della Recherche, non giudicò ammirevole soltanto il coraggio fisico mostrato a Gaeta, ma anche quello morale e sociale, forse ancora più sorprendente, con cui in seguito ebbe a volte modo di stupire i salotti del suo tempo. Vedi il sublime coup de théâtre con cui l'ormai attempata regina, in una celebre scena della Prisonnière, sfida e castiga la viltà e volgarità dei persecutori del barone di Charlus. Ecco lo scheletro dell'episodio. Nel salotto dei Verdurin, durante un ricevimento al quale è stata invitata anche l'ex-regina di Napoli, il barone di Charlus, discorrendo apertamente della diffusione dell'omoerotia, suscita lo sdegno ipocrita dei padroni di casa e del violinista Morel. Quest'ultimo, gridando, lo accusa pubblicamente di voler pervertire anche lui, coi suoi equivoci discorsi, come ha già fatto con tanti altri giovani. Marcel pensa, e in fondo spera, che gli offensori di Charlus vengano subito polverizzati da uno dei suoi leggendari accessi di collera. Il barone resta invece a lungo muto, sbigottito, disarmato, balbettante, sopraffatto da un terrore panico. I Verdurin si appartano coi loro amici a discorrere dell'accaduto e delle misure da prendere per isolare il reprobo. Pensano di non essere ascoltati, ma la loro conversazione viene invece udita per caso proprio dalla regina di Napoli, che restandone indignata decide all'istante di soccorrere Charlus con un gesto di ostentata solidarietà. «Avete l'aria – gli dice – di star poco bene, Appoggiatevi al mio braccio. Potete star sicuro che vi sosterrà sempre. È abbastanza saldo». E guardando dritto negli occhi madame Verdurin e Morel, spavaldamente aggiunge: «Esso saprà farvi schermo. Voi sapete che un giorno a Gaeta ha già tenuto a bada la canaglia». «E così – conclude Proust - tirandosi dietro al suo braccio il barone, la gloriosa sorella dell'imperatrice Elisabetta uscì di casa Verdurin». Conosceva Croce questa pagina di Proust? Da quel suo saggetto del '33 (in cui egli cita, fra i libri che parlarono di Maria Sofia, anche «La prisonnière») risulterebbe che la conosceva. Ma naturalmente non gli poteva piacere, come invece era piaciuto a Proust, che l'anziana regina spodestata, tanti anni dopo Gaeta, chiamasse ancora «canaglia» gli eroi del nostro Risorgimento.