L'ora delle cariatidi rock
Meglio bruciare subito o spegnersi lentamente? Rispondere non è facile. Ma a volte abbandonare lo star system è la scelta più dignitosa. Vuoi per guai fisici, vuoi per esaurimento della vena creativa o semplicemente per sopravvenuti stati di disorientamento artistico. L'ultimo in ordine di tempo è Phil Collins. Nei giorni scorsi il batterista e poi anche cantante e leader (ahimé) dei Genesis ha deciso di ritirarsi dalle scene. Il musicista ha preso questa decisione a causa dei malanni fisici che da anni lo tormentano e che sembrano essere conseguenza dei troppi anni dietro alla batteria. «Credo sia il momento giusto per dire basta - ha detto l'ex leader dei Genesis - e non penso che qualcuno sentirà la mia mancanza, perché ormai io non appartengo più al mondo della musica». Come dargli torto? Da anni ci chiedevamo perché Collins continuava a trascinarsi sui palchi di mezzo mondo con esibizioni che lasciavano a dir poco interdetti. Nella prima metà degli anni Settanta il Nostro era il glorioso batterista di una delle band più importanti nella storia del rock: i Genesis di Sua Maestà Peter Gabriel. Nel 1975, però, Gabriel decise di abbandonare l'avventura, seguito solo due anni dopo da Steve Hackett. A quel punto era meglio lasciar perdere. Collins, invece, non ha voluto accettare la sconfitta e, con i due membri superstiti, ha perpetrato il nome Genesis che avrebbe meritato ben altro destino. Nel frattempo una carriera solista più piena di ombre che di luci. A parte qualche rarissimo episodio, le canzoni di Collins sembrano il corrispettivo musicale dei romanzi Harmony. Sembrava aver raggiunto la maturità nel '97, quando almeno decise di lasciare quel che restava dei Genesis. Nient'altro che una pia illusione. Qualche anno fa la temuta reunion della band a cui Gabriel e Hackett hanno naturalmente dato subito forfait. Li abbiamo sentiti suonare al Circo Massimo di Roma e il prato è stato invaso da un insopportabile effetto karaoke. Venuto male per giunta. Il povero Collins, però, non può restare l'unico bersaglio. Di effetto karaoke si macchiano ormai da anni i Jethro Tull di Ian Anderson, impegnati nell'infinito revival di «Thick as a brick» e «A passion play». Tra le cariatidi rock, un posto d'onore spetta a Pete Townshend, uno dei migliori chitarristi di sempre. Da tempo costretto a convivere con una sordità galoppante che ha limitato fin quasi a proibire qualsiasi esibizione live con i suoi Who. La vita da rockstar, insomma, logora. Ne sa qualcosa l'ex ragazza del Piper. Praticamente ogni anno Patty Pravo sale sul palco di Sanremo dove cerca di sorprenderci con il suo provocante (?) look. Dopo il festival, però, quello che resta di lei sono soprattutto le tante note stonate. A un certo punto è meglio dire basta. Non continuare a fare musica per forza di inerzia. Oppure cominciare a prendere in giro il proprio stesso mito. Come insegna un imbolsito Tony Hadley, passato dalle teenager adoranti degli Spandau Ballet degli anni Ottanta al camionista sognante e sovrappeso nel nuovo videclip di Caparezza emblematicamente intitolato «Goodbye malinconia». Viva la faccia.