Dylan Dog sbarca a Hollywood
Dopo l'anteprima (di 20 minuti) al Festival di Roma arriverà il 16 marzo il film «Dylan Dog: Dead of Night». Il thriller, prodotto dalle società americane Hyde Park e Platinum Studio e diretto da Kevin Munroe, uscirà nelle sale italiane con oltre un mese di anticipo rispetto a quelle Usa, proprio per rendere omaggio al celebre indagatore dell'incubo ideato da Tiziano Sclavi nel 1986, edito da Sergio Bonelli e diventato il secondo fumetto più venduto in Italia dopo Topolino. Nei panni di Dylan Dog, l'attore americano Brandon Routh (già protagonista di «Superman Returns») propone un personaggio diverso da quello che ha fatto sognare generazioni intere. Mentre accanto a Routh spiccano nel cast anche la bella Anita Briem, Sam Huntington, Taye Diggs, David Jensen e Kyle Russell. Sul grande schermo Dylan Dog è scanzonato, impavido e, stufo di zombie o vampiri, decide di mettersi a riposo, stanco di avere a che fare con incubi ossessivi. Ma il lavoro del detective del mistero non finisce mai e le tenebre non vanno in pensione, così sarà costretto a tornare in azione per decifrare le iscrizioni ritrovate su un antico manufatto che ha il potere di annientare l'umanità. Il suo nome, ripreso dal poeta Dylan Thomas, era lo stesso che Tiziano Sclavi dava a ogni suo personaggio prima di scegliere il vero appellativo da affibbiargli. In questo caso, però, il nome rimase quello. La personalità grafica di Dylan Dog (realizzata da Claudio Villa e attuata per la prima volta da Angelo Stano) è ispirata all'attore Rupert Everett (per richiesta dello stesso Sclavi) e l'ambientazione è a Londra, dove Dog vive al numero 7 di Craven Road. Il nome della via è stato scelto in onore di Wes Craven, sceneggiatore e regista della popolare serie di film «Nightmare» incentrata sulla terrificante figura di Freddy Krueger. Nel centro di Londra esiste una sola Craven Road e al civico 7 curiosamente c'è un ristorante italiano, Bruno's Snack Bar, famoso per fare sandwich alla Dylan Dog. L'indagatore dell'occulto veste sempre allo stesso modo, tanto che compra 12 completi identici: camicia rossa (anche se in alcune storie ne indossa una bianca), giacca nera, blu jeans e scarpe Clarks. D'inverno non porta mai trench né ombrello, al massimo si consente un montgomery perché il cappotto «rovinerebbe il suo look». Dylan indossa sempre la stessa divisa in memoria del suo unico grande amore (Lillie, un'irlandese militante nell'Ira che viene poi arrestata e morirà in condizioni disumane in carcere): gli abiti che porta sono infatti gli stessi da lui usati nell'ultimo incontro con Lillie. In attesa che esca il film, i fan dell'eroe del mistero però già protestano. Il Dylan Dog vero è splatter e poetico, filosofico e anticonformista. È un personaggio bipartisan che piace alle donne (è bello e galante) ma anche agli uomini (perché razionale e bohemien). Le sue storie si leggevano a casa di nascosto, su quelle pagine scorreva troppo sangue, inquietanti fantasie e qualche donna nuda. Ma ora il Dog di celluloide non potrà usare il Maggiolone bianco - ormai appannaggio della Disney - né la figura di Groucho Marx. Mentre la trama vira miserevolmente verso i tormentoni alla «Twilight» e si rischia di non vedere niente dal fumetto italiano cult, se non un bel tipo in giacca nera e camicia rossa. E come se non bastasse, Dylan Dog al cinema non dice più nulla di poetico, anzi. Ne è un esempio una delle sue tante frasi anticult: «Non ci servono piani ma solo pistole più grosse», ammicca il bisteccone americano tra un inseguimento e l'altro. Ma, nonostante tutto, il film è un successo annunciato e ha gli elementi per appassionare i ragazzi: azione, horror, fantasy e un pizzico di ghost-story. I fan più accaniti potranno però rifarsi vedendo il film del 1994 «Dellamorte Dellamore» di Michele Soavi, tratto da un romanzo di Sclavi. Per celebrare il ritorno di Dylan al cinema, CineKult presenta infatti una riedizione della vecchia pellicola accompagnata da 5 ore di contenuti speciali. Anche se qui protagonista non è Dog, emerge però il bel tenebroso Everett da certe atmosfere metafisiche, tra il grottesco e l'ironico, che si avvicinano di più al cuore del mitico indagatore dell'occulto.