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L'arte di Pistoletto si specchia

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«Ho sempre voluto eliminare il dramma e la tragedia uscendo dalla solitudine. Sono partito dall'autocrazia dell'autoritratto ma poi ho capito che con i quadri specchianti tutti potevano entrare nell'opera, cambiandola. Lo spettatore diventa rappresentativo della moltitudine. Ecco la democrazia». È un fiume in piena Michelangelo Pistoletto, classe 1933, Leone d'oro alla Carriera alla Biennale di Venezia del 2003, mentre illustra le proprie opere nelle due grandi mostre che da oggi gli dedica il Maxxi di via Guido Reni. Già nei titoli delle due rassegne, curate da Carlos Basualdo, spicca quel dialogo tra individuo e società sempre ricercato da Pistoletto: «Da Uno a Molti, 1956-1974» e «Cittadellarte». Col passare del tempo, proprio partendo dai quadri specchianti, l'artista torinese è arrivato a sostenere che attraverso l'arte si può realizzare una «trasformazione sociale responsabile» del mondo. E proprio per questo è bene visitare per prima la mostra cronologicamente più recente, quella allestita al piano terra con la «Cittadellarte», l'operoso laboratorio interdisciplinare per l'arte e la produzione culturale fondato dall'artista a Biella nel 1998. Ci sono l'Ufficio Educazione, quello per la Politica, quello per la Strategia e Comunicazione e vari altri. E c'è lo straordinario «Tavolo del Mediterraneo», un enorme tavolo specchiante con la forma del Mare Nostrum e circondato da tante sedie diverse che fanno riferimento ai tanti paesi affacciati sul Mediterraneo e invitati a dialogare. Un'intuizione creativa e sociale che è tanto più attuale oggi, con quel che succede nei paesi nordafricani. E tutto è sovrastato dalla coinvolgente installazione sopraelevata del «Nuovo Segno d'Infinito», due cerchi più piccoli che convergono in uno più grande centrale, il «Terzo Paradiso» immaginato da Pistoletto come superamento purificato del Paradiso naturale prima dell'uomo e del Paradiso artificiale e minaccioso creato da noi stessi. Un nuovo Paradiso in cui si auspica la nascita di una nuova società ma in cui la voce di Gianna Nannini che si diffonde nella sala ci parla anche della maternità individuale. L'artista senese, ieri sera, ha inaugurato la mostra con i versi cantanti del suo inno alla vita «Mama» accompagnandosi al piano. Lo specchio continua comunque ad essere il filo conduttore di tutto il percorso creativo di Pistoletto, la miccia esplosiva delle sue invenzioni più visionarie. E nell'altra mostra, «Da Uno a Molti», lo si vede bene in quel labirinto espositivo che parte dai primi autoritratti solitari e malinconici dipinti dall'artista pensando all'informale e alla tragicità di Bacon. Scoprendo la potenza della propria figura reale riflessa in quadri verniciati a lucido, Pistoletto decise di eliminare l'illusione pittorica e di usare veri specchi in cui inserire ritratti fotografici e poi serigrafati di figure singole o di gruppi. Nascono, dal 1962, i Quadri Specchianti, aperti a tutte le possibilità e sempre diversi. Inizia la dialettica fra immagine fissa e immagine reale, in movimento, lo spettatore che diventa protagonista nello specchio e che sommando il proprio sé ad infiniti altri diventa «noi». «Con il quadro specchiante – dice Pistoletto – ho eliminato la mia soggettività. Nello specchio caos ed ordine coincidono, non c'è niente di predeterminato. Lo spettatore è al tempo stesso individuo ed essere sociale. Lì si uniscono il passato dell'immagine fissata, il presente di chi guarda lo specchio adesso e il futuro di chi vi si specchierà, di chi non è ancora nato». Se poi cerchiamo un'altra opera-simbolo allora ecco la «Venere degli stracci» (1967), emblema dell'Arte Povera e di quell'ossessione dei contrasti che anima tutto il percorso di Pistoletto: la marmorea e solitaria nobiltà di una statua classica contrapposta al caos colorato di una moltitudine di stracci usati dall'artista per lucidare i suoi specchi.

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