Termini-Pietrarsa, di corsa dai Borboni
diLIDIA LOMBARDI Il binario rasenta i sassoni frangiflutti, a tratti il bagnasciuga sottilissimo. A ogni curva la vettura sembra caracollare nel mare. Ecco la stazione di San Giorgio a Cremano. Il treno partito dieci minuti prima da Napoli fa fermata. Un salto giù dal vagone, qualche passo sulla banchina. Il cancello è subito lì. Oltrepassarlo è fare un balzo indietro di 170 anni. Nel regno dei Borboni. Siamo a Pietrarsa, la fabbrica dei treni che fu l'orgoglio di Ferdinando II, la sfida del sovrano delle Due Sicilie alla supponenza delle industrie (e delle monarchie) europee. Le Officine di Pietrarsa, dove dal 1989 è il Museo Ferroviario Nazionale, furono inaugurate nel 1840. Lunghi padiglioni su una striscia di terra che si protende nel Golfo di Napoli. Dentro, le strutture in ghisa, il corrusco dei macchinari e delle vetture. Fuori l'azzurro del mare e del cielo e, in fondo, la mole del Vesuvio. S'affollano le suggestioni. In questo posto voluto dalla dinastia che il Risorgimento spazzò via si costruivano i mezzi che unirono davvero l'Italia. Qui si incollava il Bel Paese - un panorama conchiuso e sconfinato insieme - al Paese industriale, al primo made in Italy, alla nostra sapienza progettuale e ingegneristica. M'illumino d'immenso, viene da pensare sul piazzale delle Reali Officine che furono. In fondo al viale, la statua in ghisa di Ferdinando II (fusa qui nel 1852) è l'omaggio al sovrano che nel 1839 inaugurò la prima ferrovia dello Stivale. La Napoli-Portici siglò l'avanguardia modernista della terra dei lazzaroni: sette chilometri e 406 metri di strada ferrata percorsi in dieci minuti da due convogli. Li trainavano locomotive gemelle, la «Bayard» e la «Vesuvio», capaci di tirare nove vagoni e di ospitare 250 persone. Il grande piazzale all'ingresso del Museo dei Treni replica un pezzetto di ferrovia. Qualche volta, nelle grandi occasioni - come nel 2009 l'inaugurazione in pompa magna dell'Alta Velocità, che portò qui da Roma Termini in 80 minuti Mauro Moretti, Innocenzo Cipolletta e illustri ospiti - fanno sbuffare ancora una locomotiva. Capita pure alla blasonata Bayard, quasi volesse competere con il vulcano al di là del golfo. Si chiama così perché fu l'ingegner Armando Bayard a guidare i capitalisti francesi che investirono nella Napoli-Portici. Ma il colpo di genio e la determinazione furono tutta dei Borboni, della loro vocazione industriale. La stessa che realizzava cantieri navali a Napoli, produceva sete a San Leucio, vicino alla Reggia di Caserta. E che a Capodimonte, il bosco reale, fabbricava porcellane. Il Real Opificio Pirotecnico di Pietrarsa, in posizione strategica per trasferire merci e materiali dal mare alla terraferma, si specializzò nella produzione di navi a vapore e di treni. Uscirono da qui, nel 1845, le prime sette locomotive del Regno di Napoli. Si chiamavano Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope. Un'antologia di quanto era caro al re-imprenditore: i luoghi delle Due Sicilie e la seconda moglie, per esempio. Attorno alla statua di re Ferdinando si aprono otto padiglioni, ora trasformati in sale d'esposizione. Ci sono treni realizzati qui fino all'epilogo della seconda guerra mondiale. Raccontano l'Italia. La carrozza n.10 del Treno Reale fu costruita dalla Fiat nel 1929 per le nozze di Umberto di Savoia con Maria José. Nel 1946 è diventata «presidenziale». Ha un salone con un tavolo di mogano da 26 posti a sedere. Ed è tornata nel 1989, dono al Museo di Francesco Cossiga. Le «littorine» rimandano al Duce e alle vetture per la gente comune, i pendolari e i poveracci portati dal Veneto in Agro Pontino, quando sulle paludi prosciugate fu costruita Littoria. L'officina chiude nel 1975. Il 20 dicembre lascia l'impianto, dopo la Grande Riparazione, la Gr640-088. Ora l'ex Reale Opificio Meccanico, Pirotecnico e per le Locomotive è come un libro di storia. Mario Martone ci ha girato qualche scena del suo «Noi credevamo», il film sul Risorgimento. Uno sbuffo di vapore, l'effetto speciale ricreato dal set e la locomotiva pareva muoversi. Il regista sul predellino con le valigie in mano faceva la comparsata.