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La pace impossibile tra repubblichini e socialisti antifascisti

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Itentativi di conciliazione tra fascisti e socialisti nella Repubblica di Mussolini", prefazione di Giuseppe Parlato, Mursia, pp. 344, euro 22, a giorni in libreria), che ricostruisce gli ultimi mesi della Repubblica Sociale Italiana. Quelli in cui prese corpo un progetto politico, denominato "ponte", che mirava non soltanto a rendere meno sanguinosa la guerra civile, evitando anche i suoi terribili strascichi, ma a creare i presupposti per un passaggio indolore del potere, da parte del Duce e degli ambienti più moderati della RSI, "ai socialisti e ai repubblicani", e cioè alle forze meno lontane dal fascismo rivoluzionario delle origini e dal "neofascismo" di Salò che ad esso si richiamava. Chiudere con la guerra civile attraverso un trasferimento di poteri dalla RSI al CLN, che avesse a cuore il bene della Patria e il compimento delle riforme sociali avviate da Mussolini; dare impulso a quelle correnti libertarie e pluraliste che potevano favorire, attraverso un dibattito a tutto campo, la maturazione "democratica" dell'ultimo fascismo; addirittura ipotizzare per "il dopo" uno scenario che vedesse fascisti e antifascisti "riconciliati" lavorare insieme: non era auspicare l'impossibile? Certo, e sia Stefano Fabei, sia Giuseppe Parlato nella stimolante introduzione, non mancano di mettere in rilievo i tratti velleitari del "ponte" mussoliniano. A volerlo "costruire", è vero, c'erano un bel po' di teste pensanti: da un sindacalista come Ugo Manunta che sottolineava le caratteristiche sociali della Repubblica di Mussolini, a Carlo Alberto Biggini, ministro dell'Educazione Nazionale e uomo di grande equilibrio, a Renzo Montagna, capo della polizia della RSI, che cercava di tenere sotto controllo il "fai da te" del fascismo estremista, a Piero Pisenti, ministro della Giustizia ostile ad ogni "giustizialismo" sommario, a fior di intellettuali militanti e lungimiranti a un tempo come Edmondo Cione, Concetto Pettinato, Giorgio Pini, Alberto Giovannini, Carlo Borsani, Ezio Maria Gray ecc. Contro questi "aperturisti" però si schieravano il ras Roberto Farinacci, filonazista, un fascista colto, carismatico e fanatico come Alessandro Pavolini, segretario del PFR, il ministro della Cultura Popolare Fernando Mezzasoma (e il suo operoso capo-gabinetto, quel Giorgio Almirante che nel dopoguerra sarebbe stato il più amato "leader" del MSI). E sul fronte antifascista? Tra i "pontieri" c'erano un esponente socialista di rilievo come Corrado Bonfantini, ex- fuoriusciti repubblicani come i fratelli Bergamo affascinati dal Duce "tornato alle origini" e uno "spirito libero" socialista come Carlo Silvestri, che era stato tra i più fieri antifascisti al tempo del "delitto Matteotti" e che si era andato via via convincendo che "dietro" quel crimine non c'era Mussolini. Ma a mettere "mine" sotto il "ponte", in ciò in perfetto accordo con gli "intransigenti" in camicia nera, c'erano figure di spicco del CLN come i socialisti Lelio Basso e Sandro Pertini, il cui antifascismo era, se possibile, ancora più acceso di quello comunista. Lotta fino all'ultimo sangue, dunque. E stracciata sul nascere ogni bozza di accordo. Come quella che prevedeva, sulla base dei colloqui intercorsi tra il generale Niccolò Nicchiarelli, comandante della Guardia Nazionale Repubblicana, e Corrado Bonfantini, responsabile delle formazioni militari del Partito Socialista, la costituzione di formazioni miste. Il nome? "Nero" e "rosso": i Battaglioni del Popolo. Sarebbero stati agli ordini di ufficiali della GNR ed avrebbero dovuto entrare in azione al momento della ritirata tedesca. Ma, per i reciproci veti, non se ne fece nulla. In compenso, quella guerra civile, così lunga, ha segnato, forse come nessun'altra, il "secolo breve".

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