Torna a Roma dopo dieci anni per l'ennesimo Nabucco verdiano.
Losarà anche dalla valenza storica di questo allestimento (dal 12 marzo all'Opera di Roma) registicamete firmato da Scarpitta, concepito in concomitanza con le celebrazioni per il centocinquantenario dell'Unità d'Italia. Sarà il trionfo della nostra identità tricolore la serata di gala del 17 marzo dinanzi a una parata di Capi di Stato. Nucci, in Nabucco c'è metà della sua vita di cantante lirico. Ho debuttato con questo Verdi a 51 anni. La voce deve trovare un suo equilibrio e una sua forza prima di affrontarlo. Agli inizi della mia carriera, era il 1967, ci fu il Barbiere di Siviglia. Poi, nel 1970, la Carmen con Grace Bumbry. Ma pochi sanno che il mio primo debutto all'Opera avvenne come semplice comparsa. Anno 1964, i "Maestri cantori" diretto da Serafin. Di Nabucco ne avrò fatti più di duecento. Certo, meno di Macbeth, arrivato a quota 450). Ma questa edizione di Scarpitta mi intriga. È minimale, vuole entrare nella psicologia del re. È introspettiva, non concede nulla alla gestualità melodrammatica. Che significa in pratica? Il risultato è una grande pulizia nella recitazione e nella concertazione musicale. Molto è giocato sulle luci, poco sugli elementi scenici, simbolici ma di effetto. Una regia moderna, ma non di quelle che offendono l'autore. In passato mi piacque molto la regia di Proietti a Salerno, piena di idee con proiezioni d'epoca. E il suo ruolo? In tutta l'opera c'è una certa staticità. Come in un dramma pirandelliano. Costumi simbolici e nessun manierismo gestuale. L'opera la scoprii da ragazzino vedendo il film "Casa Verdi", perché sempre a casa ascoltavamo la lirica. Una folgorazione? Sono diventato cantante naturalmente. Sono un romantico legato all'Ottocento e non c'è opera più romantica di questa e del Trovatore. Ma è veramente l'opera che meglio rappresenta il Risorgimento italiano? Nacque col Nabucco il celebre acrostico "Viva Verdi" di cui erano tappezzati i muri di Milano e poi di tutta Italia. Vivo a Lodi, al Nord, ma alla Lega, che rispetto, vorrei ricordare che l'Unità d'Italia l'hanno fatta in gran parte quelli del Nord. Molti dei Mille partiti da Quarto erano bergamaschi e la battaglia di Legnano fu il primo simbolo dell'Unità. La politica in Italia oggi non è più ideologia, ma partitismo. Io giro il mondo e sono orgoglioso di portare la lingua italiana nei teatri. Senza il repertorio italiano i teatri di tutto il mondo chiuderebbero e farebbero solo concerti sinfonici. A Monaco quando un grande direttore decise di trascurare il repertorio italiano, si rischiò il tracollo. Lo sa bene Riccardo Muti. Come lavora col Maestro? Ho collaborato con lui decine di volte. Ed è sempre un piacere lavorare con un concertatore così. In sala prove, prima al piano poi con l'orchestra, si scava sempre nel ruolo anche se l'hai fatto mille volte. L'opera è espressione d'arte e non solo spettacolo. Ha temuto per la sua salute dopo i fatti di Chicago? Certamente, anche perché io avevo avuto lo stesso problema cardiaco anni prima: ne uscii con una "Forza del destino" piena di vigore. Oggi lo trovo pieno di energie ed instancabile come sempre. Davvero il coro "Va pensiero", la pagina più famosa dell'opera, meriterebbe di essere riconosciuto come l'inno nazionale italiano? Verdi ha scritto un Inno italiano che non ha avuto molto seguito. Poi però nell'Inno delle Nazioni, che pochi forse conoscono, ha inserito ed accettato ufficialmente quello di Mameli, che dovremmo invece chiamare di Novaro, l'autore della musica. Lo ascolto sempre con le lacrime agli occhi. Quanto è cambiato il mondo della lirica nell'ultimo mezzo secolo? Molto, perché sempre più ha preso piede il sistema teatrale, ovvero prima la regia e poi il resto. All'estero si fanno spesso tagli e prove non sempre sufficienti. Si è perso il filo. Il pubblico ama la tradizione, ma spesso la tradizione da una parte ha ceduto al manierismo volgare e dall'altra si è giunti alla distruzione del pensiero dell'autore. Oggi possiamo sfruttare le possibilità tecnologiche senza rinunciare ad approfondire la lettura musicale. La lirica è importante per il made in Italy nel mondo? Non solo, anche in Italia la lirica può essere uno spettacolo popolare. È solo questione di educazione: in casa, a scuola, alla tv. In Cina, Giappone vedo teatri sempre pieni di giovani. A Londra molti riempiono la platea per uno spettacolo quasi gratuito.