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Il tricolore vinse mentre moriva il patriota Nievo

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Ilmare non restituì niente dell'imbarcazione a vapore «Ercole» su cui il letterato era partito da Palermo portando con sé i documenti amministrativi della spedizione dei Mille, della quale fu partecipe cronista. Equipaggio, bagagli e imbarcazione sparirono nel nulla vicino al golfo di Napoli. Le circostanze fecero nascere da subito numerosi sospetti. Il primo a parlare di attentato fu il pronipote Stanislao, che nel 1974, nel volume «Il prato in fondo al mare», parlò di «una sospetta strage di Stato italiana, maturata dalla destra e decisa dal potere piemontese per liquidare la sinistra garibaldina». A ridare fiato alle tesi complottistiche è stato Umberto Eco. Ne «Il cimitero di Praga» immagina l'«Ercole» esplodere in mezzo al mare a causa di una bomba, caricata sull'imbarcazione per incenerire i documenti che Nievo custodiva. C'erano registrati i finanziamenti internazionali, soprattutto inglesi, indirizzati ai Mille. Nievo è l'archetipo della gioventù del Risorgimento. Nato a Padova nel 1831 da famiglia nobile, gli andarono subito strette le convenzioni del sangue blu. A 17 anni seguì Mazzini e Cattaneo nell'infelice insurrezione di Mantova. In Toscana partecipò al moto del 10 maggio del 1849 contro gli Austriaci. Nel 1852 cominciò la carriera di giornalista a Brescia. Ma la politica lo deluse preso. Nel 1855 si ritirò a Colloredo di Montalbano per dedicarsi alla stesura del suo capolavoro, «Le confessioni d'un Italiano». Andrà alle stampe, postumo, nel 1867. Peccato, perché è insieme storia del Risorgimento e avventura, sentimento e passione. Nievo, schiacciato dai giganti Manzoni e Verga, è rimasto sempre un minore. Merita di essere riscoperto. Li. Lom.

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