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«Le lacrime dei filosofi» e la paura della morte

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L'interastoria della filosofia, infatti, è percorsa dall'idea di salvezza, dall'obiettivo di immunizzarci dalla morte, dal superamento della paura e dell'angoscia dell'annientamento che subentra dopo l'iniziale stupore dell'esistenza. A rileggere la filosofia come un tentativo di salvezza, a rassicurarci che tutto ciò che esiste non è destinato a finire per sempre, è Giuseppe Cantarano in «Le lacrime dei filosofi» (Marietti, pag. 342). Segretario generale del Centro per la filosofia italiana, professore di storia della filosofia all'Università della Calabria dopo aver studiato alla «Sapienza» di Roma e all'Albert-Ludwigs Universitüt di Freiburg, dove ha approfondito le implicazioni politiche ed estetiche del nichilismo moderno e contemporaneo, Cantarano, dall'Acqua» di Talete al regno dello Spirito di Hegel, ripercorre alcune tappe dell'elaborazione logico-metafisica e politica occidentale. L'autore si sofferma su una serie di pensatori, Talete, Eraclito, i Pitagorici, Platone Aristotele, Plotino, Agostino, Cartesio, Leibniz, Vico, Kant, Shelling, Hegel, «senza la pretesa di un'impossibile esaustività storico-filosofica - ammette - ma per saggiare, tentare, la mia ipotesi teorico-storiografica, estroflettendola in una serie di pensatori il cui rilievo risulta universalmente e definitivamente acquisito sotto il profilo storiografico e teoretico». Nel Cristianesimo è la fede nella resurrezione dei corpi ad immunizzarci dalla morte, nella filosofia è invece il «logos» a rassicurarci che nulla di ciò che esiste viene definitvamente perduto. Ecco perché la filosofia è strettamente intrecciata all'idea, più o meno escatologica, più o meno secolarizzata, di salvezza. Quando il pensiero occidentale evoca il nulla, la filosofia si affretta a cercare un rimedio (un «pharmachon», un vaccino immunizzante) contro l'angoscia che questa verità provoca nell'uomo. Fino ad Hegel il pensiero filosofico è percorso da un sottile ottimismo seppur velato di timori e tremori. E di lacrime struggenti. Dopo Hegel, scrive Cantarano, «comincerà a serpeggiare il sospetto che la storia filosofica della salvezza sia nient'altro che una favola. Un mito rassicurante e terapeutico. Un grande racconto consolatorio. E immunizzante». Come quello delle «Mille e una notte» dove l'estenuazione del racconto ha lo scopo di rinviare la morte. Come la tela di Penelope che non smettiamo di tessere per paura di non poter sostenere lo sguardo della morte. «Un mito consolatorio e immunizzante con il quale cerchiamo di distogliere lo sguardo velato di lacrime dalla fine di tutte le cose. Cose e creature che noi vorremmo invece trattenere in vita e per sempre». È questo che disperatamente sperano, con gli occhi pieni di lacrime, i filosofi.

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