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Tiberio Mitri

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diANDREA DI CONSOLI Con il romanzo «La guardia» (Italic, 158 pagine) Andrea Caterini (romano del 1981) si conferma uno degli scrittori più dotati della sua generazione. Al centro del libro di Caterini c'è Tiberio Mitri, il mitico pugile che, nel 2001, morì a Roma travolto da un treno. Il campione, dopo aver molto vinto, e dopo essere entrato nella storia del pugilato per un epico incontro a New York contro Jake LaMotta, conosciuto come il Toro del Bronx, si ammalò di smemoratezza (Alzheimer), e prese a vivere come un clochard. Dice Caterini a Il Tempo: «Tiberio Mitri morì nel febbraio del 2001. Appresi la notizia dalle pagine di un giornale mentre ero a La Spezia per i tre giorni precedenti al servizio di leva. Mitri, per noi che frequentavamo le palestre di pugilato, era una specie di mito del ring. Gli davamo il merito di non essere finito al tappeto contro quello che negli anni Cinquanta passò alla storia come il killer del ring, il Toro del Bronx Jack LaMotta. Sapevamo però altrettanto bene che Mitri era ormai un mito solo per gli addetti ai lavori. Alla fine della sua vita erano in pochi che si occupavano di lui. Per la società, infatti, era un misconosciuto. Aveva raggiunto la celebrità giovanissimo, non solo attraverso il pugilato, ma anche recitando in numerosi film, tra i quali “La Grande Guerra” di Monicelli. Morire a quella maniera, schiacciato da un treno sui binari della stazione Casilina, rappresentò una tragedia sulla quale dovremmo interrogarci tutti». Andrea Caterini racconta, insieme alla storia di Tiberio Mitri, anche una Roma marginale e sofferente, poco vista e mal vista. «Vivo in periferia da sempre – ci dice lo scrittore romano – ci sono nato e cresciuto. Intorno al mio quartiere ci sono almeno due o tre campi rom. Da che mi ricordo, i campi ci sono sempre stati. Credo che derivi da questo il fatto di essermi interessato, nel romanzo, alla loro civiltà. La cosa che più mi affascina in loro è la totale ingovernabilità. Nessuno ha ancora trovato un modo per ‘civilizzarli' (parola orribile). Nella società del benessere nella quale viviamo, una popolazione come la loro disarma e, soprattutto, spaventa. Pur certamente rubando, i rom hanno scelto di vivere in condizioni miserevoli e meno che mai hanno sognato di mettere su un esercito e partire per qualche assurda guerra. Ma la questione che mi stava più a cuore era notare quanto il rifiuto unanime degli italiani nei confronti dei rom derivi dal fatto che sono la popolazione che meglio rispecchia un passato che ci appartiene intimamente. Alcuni loro riti sono molto simili alle ritualità praticate in molte nostre province». Leggendo «La guardia» si scopre tra le righe anche un'etica legata alla boxe, sport assai spesso liquidato come pratica estrema e violenta. Caterini, ovviamente, la pensa diversamente: «Ho praticato il pugilato per molti anni. Forse solo dal momento in cui sono salito sul quadrato del ring, però, ne ho potuto cogliere il senso profondo. Sono molte le persone a vedere la boxe come uno sport violento e inutile. Io ho invece sempre pensato che fosse una metafora della vita: il ring un'imitazione del mondo e i due avversari due persone che combatto per la conoscenza di sé e dell'altro. Nessuno è disposto a osservarti con la stessa attenzione con la quale lo fa il tuo avversario. Nessuno come lui osserva la tua posizione di guardia (dietro ogni posizione di guardia si nasconde un carattere, una natura umana, da qui deriva il titolo del mio romanzo), i tuoi gesti, i tuoi momenti di lucidità e quelli di affanno, pronto a colpirti, al momento opportuno, nel tuo punto debole».

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