
Stefania Monaco Pesto genovese, carbonara, amatriciana, cacio e pepe, trippa alla romana, con le fave.

Senzadi lui non se ne fa niente. Il pecorino è un formaggio di pecora ma dal cuor di leone, ha una fragranza ed una persistenza che ci porta lontano nel tempo, forse è per questo che si dice che faccia sognare! Quello romano è ottenuto, da circa duemila anni, dal latte di pecore che pascolano liberamente sui territori di Sardegna, Lazio e provincia di Grosseto. Già nei palazzi imperiali per gli antichi romani era il «condimento» più usato nei banchetti e grazie alla sua capacità di lunga conservazione, durante i viaggi delle legioni romane era l'integratore perfetto per alimentare forza e coraggio: 27 grammi la razione giornaliera accompagnata da pane e zuppa di farro. I sardi sono il popolo del pecorino: tre i formaggi a Denominazione di Origine Protetta, Pecorino Sardo, Pecorino Fiore Sardo e Pecorino Romano; questi tre prodotti sono le credenziali di nobiltà e di qualità dei caseifici dell'isola. I pascoli sardi sono saporosissimi e aromatici ma oltre a questo quel che conta è la razza. E il casaro. Molto spesso accade che il pecorino sia composto da latte ovi-caprino. È il caso ad esempio del calabro-lucano, quello che si fa a Moliterno o a Crotone, dove sin dalla Magna Grecia viene preparato con latte di pecora, razza Gentile di Puglia, e un terzo di latte caprino. Questo gli conferisce una longevità incredibile che può superare i due anni di stagionatura, mantenendo ed evolvendo il suo sapore sino a raggiungere il giusto grado di piccantezza: perfetto da grattugiare su paste con sughi di carne d'agnello e capretto o, così come il detto locale recita «picurino chiam' vino», usato per «contrasto» con Vini passiti di Mantonico o Greco Bianco. Nell'altra isola del pecorino, la Sicilia, spesso le forme vengono aromatizzate con pepe nero e zafferano e, ancora una volta, viene fuori l'aspetto dispettoso e piccantello. Per qualcosa di più soave e dolce bisogna spostarsi in Toscana. Qui ci tocca sognare senza il cacio perché il pluriacclamato pecorino di Pienza oramai è quasi un ricordo. È vero che la città è invasa di forme, vendute a caro prezzo in boutique elegantissime in tutto il centro storico, ma è comunque difficile imbattersi in quello vero, stagionato nelle botti di rovere. E il famoso pecorino di Fossa lo teniamo nascosto? La leggenda vuole che il formaggio finì dentro le fosse a seguito della decisione dei contadini di nasconderlo alle truppe di francesi della Signoria di Forlì. Quando i soldati andarono via lo tirarono fuori e si accorsero che il formaggio era diventato più morbido e buono. Questo gioco funziona molto bene, ancora oggi, in Romagna, Marche e Umbria. Per completare il nostro giro non possiamo tralasciare l'Abruzzo con il pecorino di Teramo tagliato a cubetti e conservato in olio d'oliva, e quello di Campo Imperatore, detto il canestrato, probabile eredità dei pastori pugliesi che erano soliti transumare d'estate verso il Gran Sasso.
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