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di ANTONIO ANGELI L'Italia non ha avuto, alla sua nascita come Paese, un'unica, grande rivoluzione.

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Nonabbiamo decapitato un'intera classe dirigente (anche se qualcuno, forse, se lo sarebbe pure meritato), non abbiamo scritto una dichiarazione d'indipendenza di quelle che lasciano il segno nella Storia. Ma il suo sangue versato il nostro Paese ce l'ha avuto. Eccome. Non è stato sangue di nobili o sovrani e non è nemmeno stato quello di grandi generali. Come sempre accade in Italia le teste coronate se ne sono state nei loro palazzi, mentre i semplici e gli umili hanno fatto i conti con la storia. L'Unità d'Italia ha visto importanti manovre militari compiute dai «padri» dell'Unità, come come Garibaldi, i fratelli Bandiera, Luciano Manara. E quelli che hanno dato la vita sono state persone semplici: volontari lombardi che sono andati a combattere per la libertà del Sud e siciliani che hanno attraversato la Penisola per andare a fare a fucilate con gli austriaci che, a casa loro, non si sapeva nemmeno chi fossero. L'epopea di questa rivoluzione fatta di schioppettate da un cespuglio all'altro, di piccoli scontri, ma anche di sanguinose battaglie ce la racconta uno storico molto amato, soprattutto dai giovani, Andrea Frediani, con il saggio «Centouno battaglie che hanno fatto l'Italia unita - Rivolte popolari, azioni eroiche e scontri sanguinosi per realizzare un sogno», Newton Compton Editore, 376 pagine, 12 euro. E proprio di un sogno si è trattato, che se qualcuno avesse dovuto scommetterci, sull'unità italiana, il giorno dopo Waterloo, tutti avrebbero detto che non aveva le rotelle a posto. E invece quella lunga avventura ha dato proprio l'esito che volevano gli idealisti e gli intellettuali, in barba ai sovrani. Un'avventura per forza di cose «spalmata» su un lungo arco temporale, che parte con l'avanzata di Gioacchino Murat nella Pianura Padana nel 1815 (curioso che uno dei primi che pensò all'Unità d'Italia fosse un francese) e si chiude (almeno militarmente) con l'impresa di Fiume, nel dicembre del '20. E Frediani, esperto di cose militari, e per questo inevitabilmente preciso, ha suddiviso il libro in precise 101 battaglie (come promette il titolo), in cui decine di migliaia di valorosi soldati, volontari o regolari, tutti comunque sognatori, si sono sacrificati, generosi, senza badare alla convenienza o al soldo, per una grande causa. Al soldo ci avrebbero pensato altri, dopo, ma questa è un'altra storia. All'inizio dell'avventura c'erano il Piemonte savoiardo a nord, i Borbone a sud, e lo Stato Pontificio in mezzo, con il corollario di un gran numero di regioni settentrionali sotto l'Austria e poi vari domini stranieri sparsi qua e là. L'Unione? Impensabile. Dovette passare quasi un secolo perché l'espansione del Piemonte si trasformasse in regno italiano e ancora un altro mezzo secolo e più perché l'intera penisola fosse libera. Dalle due Guerre d'Indipendenza per acquisire la Lombardia, all'impresa dei Mille di Garibaldi, dagli anni di Guerra civile per il Meridione alla Terza Guerra d'Indipendenza per il Veneto, fino alla Guerra Mondiale per il Trentino e il Friuli, tanto, tantissimo sangue è stato versato. Tutto raccontato da Frediani, uno dei maggiori esperti di eventi bellici del Belpaese. Laureato in Storia medievale ha collaborato con numerose riviste di Storia ed è uno scrittore, tanto di saggi quanto di romanzi, che sta collezionando un esercito di fan. Tra i suoi best seller i romanzi: «300 guerrieri», «Jerusalem» (tradotto in varie lingue, ha fatto il giro del mondo), «Un eroe per l'impero romano» e la trilogia «Dictator»: «L'ombra di Cesare», «Il nemico di Cesare» e «Il trionfo di Cesare». E nell'anno del Centocinquantenario non poteva non raccontarci le battaglie per l'Unità.

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