Universi segreti nei capolavori
Altro che «Codice Da Vinci», le scritte segrete: lettere, cifre, nomi, sembrano riempire tutti i capolavori della pittura degli ultimi secoli. Nei dipinti di Leonardo da Vinci, primo fra tutti la famosa Gioconda, ma anche nelle opere di Raffaello, Mantegna, Giorgione, Tiziano per arrivare fino a Balla, Klimt, Cascella tra le pennellate si celano tutta una serie di messaggi segreti. Ma non si tratta di mappe del tesoro o codici esoterici, ma molto più semplicemente di un sistema anti-falsari ben conosciuto e tramandato con riserbo da un maestro della pittura all'altro fino ai giorni nostri. Questo emerge dal saggio di prossima uscita «Firme e date celate nei dipinti da Leonardo Da Vinci ai tempi nostri», curato dal pittore veneto Luciano Buso. Il saggio svela che Leonardo firmò la Gioconda nascondendo nell'enigmatico ritratto l'iniziale del suo nome nonché la data di composizione del dipinto, il 1501, e addirittura l'intera scritta «Gioconda». Il genio di Vinci non era l'unico che aveva questa abitudine: si comportavano così anche i coevi Giorgione e Raffaello. Ma perché riempire i quadri di «marchi» individuabili solo ad un attento esame? Si trattava, probabilmente, di una tecnica di scrittura nascosta nata come sorta di incancellabile autentica delle opere e tramandata di bottega in bottega, forse come protezione dai falsi, per oltre 700 anni, tanto che la conoscevano e la praticavano persino Klimt e Picasso. Tutto è cominciato qualche anno fa, ha spiegato Luciano Buso, esaminando una tela del trevigiano Paris Bordon (1500-1571), «Venere sdraiata in un paesaggio», che gli era stata affidata per il restauro. Buso si accorse che tra le pennellate del capolavoro rinascimentale si celavano due cifre intrecciate: «PB», le iniziali del pittore, nascoste sul tronco dell'albero davanti al quale è sdraiata la Venere. Era solo l'inizio: un esame più approfondito, condotto anche con l'aiuto di raggi x, riflettografia e ripresa di luce radente, «permise di stabilire con buon margine di sicurezza» l'intera firma del pittore. In più, «portando il dipinto alla luce solare», ha spiegato, «mi sono accorto della presenza di altre scritte tra le piante e il paesaggio e un po' ovunque nel dipinto». Insomma su moltissimi quadri dal Rinascimento al Barocco (ma anche su sculture) è possibile individuare la firma dell'artista discretamente riportata su un nastro o una cintura, ma qui ci si trova di fronte a una sorta di «sistema anti-riproduzione» esteso, in pratica, a tutta l'opera e visibile solo attraverso un esame particolarmente attento. Buso continuò le sue ricerche su un dipinto firmato da Jacopo Negretti-Palma il Giovane e fu premiato. Anche lì, ha aggiunto Buso, si rivelò la stessa messe di scritte nascoste, come pure, in seguito, nelle opere di Tiziano, (sia Bordon che Palma il Giovane si erano formati alla sua bottega) e in quelle del suo maestro Giorgione. Dagli artisti veneti le ricerche si sono estese a Giotto, poi a Raffaello, Antonio Guardi, Camille Baptiste Corot, Toulouse Lautrec, Guglielmo Ciardi, Federico Zandomeneghi, Giacomo Balla, Gustav Klimt. Insomma un filo rosso che si dipana per almeno sette secoli, sostiene il restauratore trevigiano, seguendo la tradizione di un uso antichissimo che l'occhio allenato di artisti e mercanti sapeva allora decrittare con relativa facilità per difendersi da falsari e cattivi affari.