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Polemica: i clienti sono i posteri I beni artistici non si vendono

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Duetomi di 850 pagine e più di 1500 tavole a colori, mozzafiato. Demiurgo di questa straordinaria fatica editoriale è il prof. Antonio Paolucci, il Direttore del più straordinario museo del mondo. Prof. Paolucci perché parliamo sempre di "Musei Vaticani" e non di Museo Vaticano? I musei del Papa si nominano al plurale perché tutte le forme dell'arte, tutti gli aspetti della umana civilizzazione, in ogni epoca e sotto ogni latitudine, vi sono rappresentati. Il Vaticano stesso è un museo, il piccolo seme della parabola evangelica diventato nei secoli un grande albero frondoso. All'inizio c'era solamente l'antiquarium di Giulio II progettato dal Bramante sul colle del Belvedere, gli ambasciatori veneziani già nel 1523 lo definirono un Hortus deliciarum, un giardino di delizie. E sono proprio queste le meraviglie condensate nelle 1500 tavole del volume Treccani? C'è la statuaria greco-romana, ci sono le testimonianze delle più antiche civiltà del Mediterraneo insieme a Giotto e a Caravaggio, a Giovanni Bellini e a Leonardo, a Poussin e a Valentin raccolti in Pinacoteca, insieme ai Matisse, Van Gogh, Bacon, Fontana conservati nella Collezione d'Arte Religiosa Moderna. Eppure mi diceva che in origine le collezioni dei papi erano custodite in un altro luogo simbolo della Città Eterna? Per i Papi del Rinascimento il Museo di Roma stava in Campidoglio, nel Palazzo dei Conservatori. Qui, nel 1471 Sisto IV fece trasferire, come dono al popolo di Roma, una serie di importanti bronzi conservati fino ad allora in Laterano: la Lupa, l'Ercole dorato, la testa colossale di Costantino. Sono i signa imperii, i monumenti identitari di Roma che il sovrano restituiva al popolo. Regnando Paolo III Farnese arriverà nella piazza del Campidoglio la statua equestre del Marco Aurelio glorificata da Michelangelo con la mirabile aureola del litostroto. La statua è posta con le spalle ai Fori - simboli del paganesimo - e il volto verso San Pietro: è la translatio Imperii e studiorum dal paganesimo al cristianesimo. Possiamo dire che ad oggi in Italia i Musei Vaticani costituiscono il modello più vicino ai grandi musei europei, Louvre e British Museum? Occorre prima di tutto una precisazione. I Musei Vaticani appartengono allo Stato Vaticano e siamo in Italia solo geograficamente. Poi bisogna aggiungere che sono stati i Musei Vaticani a fungere da modello per la nascita e l'organizzazione dei grandi musei europei e non viceversa. Essi diventarono tali a tutti gli effetti fra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX, sotto i pontificati di Clemente XIV (1769-1774), di Pio VI (1775-1799), di Pio VII (1800-1823). Nei cinquant'anni cruciali che stanno fra l'Illuminismo, la Rivoluzione francese, l'Impero e la Restaurazione, le collezioni del papa si rinnovano e si trasformano radicalmente. Il regolamento del 1816 fu uno dei primi a disciplinare l'accesso al pubblico e le mansioni del corpo di custodia, e la cura delle collezioni viene affidata a tecnici come Antonio Canova. Per quale ragione allora fuori dalle mura del Vaticano, in Italia, dopo 150 anni di unità non è possibile pensare ad un grande museo nazionale come quelli europei? Prima di tutto l'Italia investe poco nella modernizzazione dei suoi complessi museali: gestire un museo non è gestire un supermercato. In quest'ultimo il direttore sarà felice di vendere prodotti e accontentare i clienti di turno, mentre nel primo il direttore deve avere coscienza che i suoi clienti saranno soprattutto i posteri. E non è cosa da poco! L'Italia non avrà mai un Louvre o un British per le sue vicissitudini storiche, politiche e culturali. Ogni sua città da Milano a Palermo e i loro stessi abitanti hanno la consapevolezza «genetica» di possedere un patrimonio unico che proprio nella sua varietà costituisce, come diceva Stendhal, «il Paese più bello del mondo».

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