Cavour, il piemontese che pensava all’Europa
Il caustico e molto pettegolo conte Henry d’Ideville, che rappresentò il governo francese alla Corte dei Savoia nell’ultima fase del Risorgimento ha lasciato un gustoso Journal ricco di pettegolezzi pungenti, aneddoti storici, gustosi ritratti dei principali protagonisti delle vicende storico-politiche di quel tempo. Il giovane francese era un grande frequentatore di salotti, a cominciare da quelli della marchesa Alfieri Sostegno e della marchesa Doria, perché apparteneva a quel genere di servitori dello Stato i quali ritenevano che le migliori doti del diplomatico si esercitassero proprio in quegli ambienti, ovattati e spumeggianti, prima ancora che nelle cancellerie. Così la sua penna, acuminata e arguta, poté esercitarsi bene a tratteggiare - qualche volta con un tocco di ironia e qualche altra volta con un pizzico di perfidia, tipiche di un "codino" che si trova ad osservare avvenimenti rivoluzionari o presunti tali - le personalità che aveva la ventura di incontrare e frequentare. Soltanto nel caso del conte Camillo di Cavour, questo aristocratico reazionario, usò sempre parole piene di rispetto e commozione. Quando gli giunse la notizia della morte di Cavour, confessò a un'amica di essere rimasto colpito dalla sincerità del dolore dei torinesi e nel Journal presentò, pur non rinunciando all'aneddotica, lo statista piemontese come un uomo modesto e semplice, buono di cuore e di sentimenti, probo e disinteressato, politico avveduto ed economista eminente. Il ritratto pettegolo di Henry d'Ideville coglie bene, alla fin fine, alcuni dei tratti più caratteristici della personalità di Cavour. E la riprova l'abbiamo leggendo la bella biografia scritta da Italo De Feo sul finire degli anni sessanta, ora riproposta, in clima di celebrazioni, con il titolo Cavour. L'uomo e l'opera negli Oscar Mondadori. Non so se il Journal di d'Ideville sia tra le fonti dell'opera di De Feo costruita soprattutto sui testi e sui carteggi cavourriani oltre che sulle biografie classiche all'epoca disponibili: da quella di Giuseppe Massari a quella di William de La Rive, da quella di Maurice Paléologue a quella di Heinrich von Treitschke e via dicendo. Tuttavia, l'immagine, umana e politica, che se ne ricava si sviluppa sulla stessa lunghezza d'onda. Il conte di Cavour viene presentato da De Feo come - e lo fu davvero - amante del gioco e beniamino di fanciulle e signore più o meno spregiudicate, ma al tempo stesso come gentiluomo di campagna appassionato di agricoltura, esperto di economia e finanza, fine politico e accorto diplomatico. E, soprattutto, uomo di genio, con un "cuore entusiasta" e una "intelligenza sovrana". La sua vita, com'è raccontata da Italo De Feo con l'eleganza di uno scrittore di razza e lo sguardo penetrante dello storico vero, fu il risultato di molte "coincidenze". Ma, al di là del ruolo giocato dalle "coincidenze", vi fu, nell'avventura umana e politica di Cavour, molto di più. Vi fu la sua sensibilità europea, che era, forse, anche un'eredità di famiglia, perché egli aveva anche un po' di sangue svizzero, essendo la madre ginevrina. De Feo fa notare che Cavour amò molto la Svizzera: in questo paese regnava il culto della ragione e vi era un sistema di governo che lo confermava nell'idea che la democrazia altro non fosse se non "l'intelligenza applicata alle cose politiche". Si potrebbe dire anche di più, rifacendosi a una osservazione di un grande storico, Franco Valsecchi, le cui opere De Feo ben conosceva. Si potrebbe osservare, sulle orme proprio di Valsecchi, che nella città di Rousseau e di Calvino, impregnata di "intellettualismo religioso e di religiosità intellettuale", il giovane Cavour abbia gustato "come un frutto proibito" proprio l'atmosfera di culto della ragione. Ma dopo Ginevra, ci furono, nelle esperienze e nella formazione di Cavour, Parigi e Londra, quindi le grandi metropoli europee, le città più progredite del tempo. Cavour fu, dunque, uno spirito europeo. Dalla biografia di De Feo questo dato emerge con chiarezza. Si tratta di un punto fondamentale: ne fa comprendere il successo politico, la capacità di trasformare il problema italiano in problema internazionale, inserendo il moto di unificazione della penisola nel più generale fenomeno del risveglio europeo delle nazionalità. Ma fu, anche, Cavour, una espressione compiuta di un realismo politico, portato avanti con spregiudicatezza e determinazione per raggiungere il fine dell'Unità nazionale. Come dimostrano certi avvenimenti significativi, nei quali il suo ruolo fu determinante, dall'intervento nella guerra di Crimea fino all'utilizzazione della grazie della Contessa di Castiglione per sedurre Napoleone III, dalle trattative di Plombières sino all'impresa dei Mille. La sua esistenza non fu molto lunga, cinquantuno anni appena. Ma fu una esistenza bruciata dalla passione. De Feo conclude la sua biografia osservando che Cavour fu un politico che intese la politica quale dovrebbe davvero essere, ovvero un "obbligo morale per il cittadino". E aggiunge che non fu soltanto un grande statista, ma il più grande "fra quanti ebbero l'Europa e il mondo nel secolo scorso". Meglio non si potrebbe dire.