Quella faccia aguzza perfetta per recitare in romanesco
Unafaccia da miles gloriuosus plautino. E prima ancora, da attore tutto lazzi e provocazione. Come negli antenati del commediografo latino, i «guitti» del Fescennino, l'avanspettacolo dei buoni quiriti che metteva alla gogna i politici mentre indugiava contro il malocchio e anzi lo esorcizzava sventolando simboli fallici. Mario Scaccia aveva una faccia che non poteva non portarlo sul palcoscenico. Gli occhi piccoli, nerissimi, che t'inchiodavano nell'arguzia, nell'allusione, nella complicità. Il naso aquilino, antico, popolano e nobile insieme. La bocca sottile e sinuosa, che storceva e plasmava come fosse plastilina, atteggiandola al sarcasmo, allo sdegno, alla contrizione, al piagnisteo. Non avrebbe mai avuto bisogno di una maschera, Mario Scaccia. E non poteva che essere attore romano, per quel guizzo di menefreghismo un po' sornione e un po' crudele che modulava coi muscoli delle guance, della fronte. Il guizzo dei fiumaroli, degli scaricatori dei mercati generali, degli ambulanti. Dei trasteverini e dei testaccini. Dei Belli, dei Trilussa, degli Zanazzo nascosti dentro i pochi epigoni dei romani veraci. La maschera di Chicchignola, per farla breve. Del personaggio più umorale e impastato di umanità uscito dall'estro di Petrolini. Ettore proprio come Scaccia aveva la faccia giusta. Il naso importante, a «pipimbocca», gli occhi perfetti per ammiccare, il mento che svirgolava in avanti, quasi ad accompagnare la risata sardonica e la parola tagliente. Di Chicchignola Scaccia ha fatto il suo cavallo di battaglia degli ultimi trent'anni. Il venditore ambulante tradito dalla moglie, sbeffeggiato e infine vendicatore di se stesso con le armi sottili del sarcasmo è il personaggio che cristallizza forse più Scaccia che Petrolini, che altre macchiette ha appiccicate addosso, Gastone prima di tutte. Chicchignola che modula rancori e sentimenti in romanesco è la sfida vinta da Scaccia. Il quale - interpreta bene Giovanni Raboni - si rese conto che l'operazione giusta, sul palcoscenico, non era imitare Petrolini, ma essere Petrolini. «Iper Scaccia», lo chiama lo scrittore-drammaturgo milanese. Già, un iper impossibile da imitare.