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IL GIRADISCHIa cura di Stefano Mannucci

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Adistanza di tre anni dal magnifico "Safari", il 44enne cantautore di Cortona aveva progettato di incidere un ideale seguito di quel rutilante caleidoscopio di ritmi world e di mediterranee melodie: aveva prenotato uno studio di registrazione in California, si era rimboccato le maniche, ma visto che l'ispirazione era finita nel ripostiglio, aveva deciso di buttare il "sequel" nel cestino e ricominciare tutto da capo. Si è così rintanato per nove mesi nelle brume milanesi, si è chiuso in una stanza piena di aggeggi elettronici (beatbox e quant'altro) e assieme al suo produttore Michele Canova ha tirato su un muro del suono dove l'intervento umano è minimo, dove la sua band è rimasta inoperosa, dove gli strumenti che hanno bisogno di sudore e muscoli hanno taciuto. Questo "Ora" è un disco dannatamente techno, modernissimo e spiazzante, veloce e vorticoso, ossessivo e gioioso. E proprio questo è il punto. Lorenzo ha deciso di sottolineare il valore sovversivo della felicità, del "godimento", della forza della vita, in un momento in cui il clima politico e sociale appare decisamente plumbeo, e in cui le sue vicende personali sono state segnate da due incolmabili perdite: prima quella del fratello, caduto dal cielo con il suo aereo, poi quella dell'adorata mamma, scomparsa due mesi fa. E alla madre, che prediligeva le canzoni del figlio più ballabili e allegre, ha voluto dedicare questo "Ora". Come se per elaborare l'enorme lutto l'unica soluzione possibile fosse quella di lasciarsi andare alla pienezza dell'esistenza in tutte le sue sfumature, come se lo stordimento del ballo fosse un modo per asciugare le lacrime, e celebrare l'eredità spirituale piuttosto che l'assenza e la perdita. Ma se questa è la nervatura dell'opera, così come la si intravvede in controluce, resta però l'incompiutezza dei singoli brani. Che vanno ascoltati in sequenza, mentre da soli perdono identità e potenza. Ce ne sono 15 nella confezione singola, e ben 25 nel formato doppio cd deluxe. Ma ad un ascolto continuato ne restano in testa non più di quattro o cinque: c'è il già noto, e fortunato "Tutto l'amore che ho", e poi la struggente "L'illusione", ballata d'amore dove l'innesto degli archi della London Session Orchestra, arrangiati da Paolo Buonvino e registrati a "latere" a Abbey Road, aggiungono il profumo del romanticismo che mancava (ma non aspettatevi un'altra perfetta serenata come "A te"). C'è poi l'impertinente "Quando sarò vecchio", con un'idea drammaturgica (la verità della sensibilità senile) che non sarebbe dispiaciuta a Gaber o a Leo Ferrè, ma alla quale manca il colpo d'ala di una più decisa asciuttezza. C'è la sbarazzina "Il più grande spettacolo dopo il big bang", e la ribelle "L'elemento umano", rivendicazione di libertà personale nell'epoca dell'ipercontrollo tecnologico. Da non dimenticare neppure il sapore africano de "La bella vita", con il contributo del duo malese Amadou e Mariam. Per il resto, è un disco-party che risente molto della recente esperienza newyorchese, sottolineato da un intervento del ribaldissimo rapper americano Franti in "Battiti di ali di farfalla". Tra gli altri ospiti, un discreto Cesare Cremonini su "I pesci grossi", una frasetta ispirata da Battiato, due parole suggerite da Luca Carboni, un verso letto su un libro di Cortazar e un altro su un volume di Antunes. Riferimenti, rimandi, omaggi, in un collage dove tutto gira e vibra, e dove ogni azzardo è lecito, come lo è anche la copertina e il librettino di immagini pensati da Maurizio Cattelan. Tutto molto ardimentoso, e dal vivo, con la band alle spalle, i concerti di Lorenzo saranno la solita festa. Ma è un disco di transizione, non un approdo. Lo stesso Jova si augura che tra due anni suoni già "vecchio". Perché questo è uno spingersi oltre, quando il presente non promette nulla di buono. Voto 3/5

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