Bestseller Dal libro di Tatiana De Rosnay tratti due film
AParigi la piccola Sarah è a casa con la sua famiglia, quando viene svegliata dall'irruzione della polizia francese e prelevata insieme ai genitori. Ha solo dieci anni, non capisce cosa stia accadendo, ma prima di essere portata via, nasconde il fratello più piccolo in un armadio a muro che chiude a chiave. Solo più tardi capirà che non potrà tornare a salvare il fratellino. Sarah, insieme a migliaia di altri ebrei, viene rinchiusa nel Vélodrome d'Hiver, in attesa di essere deportata nei campi di concentramento in Germania. Sessant'anni dopo, Julia, una giornalista americana che vive a Parigi, svolgerà un'inchiesta su quei drammatici eventi. E il destino di Julia si incrocerà fatalmente con quello della piccola Sarah. A partire da tali atrocità si dipana il bestseller di Tatiana De Rosnay, «La chiave di Sarah», (pp. 319, ed. Mondadori, 17,50 euro). La scrittrice racconta una delle pagine più feroci dell'Olocausto, il rastrellamento del Velodromo d'inverno (il 16 luglio 1942) a Parigi, quando la polizia militare francese (non i tedeschi) arrestò 12.884 ebrei tra cui 4.051 bambini e li portò in condizioni disumane nel Velodromo. Un metro quadro a disposizione ciascuno, niente cibo, niente bagni e condizioni igieniche disastrose, per poi trasferirli nei campi dividendo atrocemente i genitori dai figli. Soltanto 811 persone fecero ritorno. Giovedì per il Giorno della memoria uscirà in Italia un film francese, «La Rafle» (Vento di primavera), tratto dal romanzo della De Rosnay, che rievoca lo stesso episodio storico ripreso anche dal «Segreto di Sarah», altro film francese con Kristin Scott Thomas, dal 4 febbraio nelle sale. In quei giorni furono oltre 4000 i bambini imprigionati, ammassati per giorni, senza cibo, senza acqua, in attesa di essere deportati nei campi vicino a Parigi e molti finirono ad Auschwitz. La storia viene raccontata dalla De Rosnay, per la prima metà del romanzo, a due voci, quella del passato e quella del presente, in cui il racconto di Sarah e quello di Julia si alternano per poi incontrarsi. Ambientato tra Parigi e New York, il racconto svela a mano a mano un segreto sconvolgente che segna drammaticamente più famiglie attraverso sessant'anni. Su tutto domina una pagina di storia atroce, che commuove e fa riflettere perché la vicenda della piccola Sarah è purtroppo universale. Migliaia di famiglie ebree sono state rinchiuse nel Velodromo d'inverno prima di essere mandate alla morte nei famigerati campi di sterminio. In una condizione già vicino alla morte, in quel caldo soffocante estivo. Molti si suicidarono prima del disastro finale, prima che i figli venissero separati dalle madri, spedite in altri campi di transito. Mentre i loro piccoli restavano soli, smarriti e atterriti, con i pannolini sporchi, le gote rigate di lacrime, alcuni sapevano a malapena camminare, altri erano lattanti, affidati ad altri solo un poco più grandi di loro. In Francia è stato duro ammettere che a fare quello scempio non furono solo i tedeschi. Resta ora il monito delle parole ebraiche da leggere: «Zakhor. Al Tichkah». Ricorda. Non dimenticare mai. Il titolo del romanzo in lingua originale è «Elle s'appelait Sarah» (Si chiamava Sarah), le stesse parole riprese da una celebre canzone francese, scritta da Jean-Jacques Goldman nel 1982, in memoria di una bambina ebrea dal destino simile a quello della protagonista. Dove sorgeva le Velodrome d'Hiver, in rue Nelaton, oggi c'è una fabbrica con una piccola targa sul muro per ricordare i «4051 bambini che da qui partirono per Auschwitz».