L'arte di stupire
diGABRIELE SIMONGINI Lo scandalo paga, anzi rende immensamente ricchi. Ne è la prova l'artista più controverso e, soprattutto, ricco della nostra epoca: l'inglese Damien Hirst, che ha saputo costruirsi un patrimonio personale di 215 milioni di sterline inanellando una provocazione dietro l'altra. La più recente è proprio di questi giorni, nel tempio dell'ufficialità artistica, la Royal Academy di Londra. Invitato a rappresentare la nuova scultura britannica al fianco dei mostri sacri del XX secolo (Henry Moore in primis), Hirst con la sua «opera» fa un simpatico invito a tutti noi: «Oggi andiamo a mangiare all'aperto». E come non accettare? Poi però quando si arriva di fronte a quella che l'artista definisce «scultura» ogni appetito passa d'un botto, anzi trionfa un irrefrenabile voltastomaco. Un'enorme scatola di vetro è divisa in due metà: da una parte c'è un barbecue in acciaio con un vassoio pieno di larve che si schiudono diventando mosche mentre dall'altra parte, su un anonimo tavolo bianco circondato da cinque sedie, fanno bella mostra di sé i resti di un pasto (con tanto di pollo smozzicato) assalito da centinaia di mosche. Anche queste ultime, però, faranno una brutta fine perché sopra il tavolo è appeso un inquietante apparecchio elettrico moschicida. Insomma, un invito a pranzo da evitare con cortese decisione. Hirst, con la consueta abilità mediatica, ha dato questa spiegazione all'opera: «Stavo pensando a come far evitare la sporcizia a tutti noi ma poi mi sono reso conto che in realtà tutti finiremo nella terra e saremo sporcizia. Cerchiamo invano di isolare l'orrore dalla nostra vita e di rimuoverlo». Fonte di ispirazione per l'«invito a pranzo» è un'altra famigerata opera di Hirst: «A Thousand Years», con tante larve che diventano mosche mentre si alimentano su una testa di mucca mozzata. L'ossessione della morte e della decomposizione è sempre stata al centro delle opere di Hirst, dallo squalo immerso in formaldeide alle farfalle stecchite con cui creare delle vetrate stile Chartres. È la pseudo arte «immonda» condannata con forza da un grande storico dell'arte come Jean Clair: all'età del gusto è subentrata quella del disgusto, fondata sull'estetica dell'escremento. Ma Hirst non si ferma qui, condisce i suoi cadaveri con una straordinaria strategia pubblicitaria, da alto marketing e supera ogni volta un nuovo limite. Dichiarando di voler fare a meno dell'intermediazione di galleristi e mercanti, ha messo direttamente all'asta le opere di sua proprietà con un incasso stratosferico. E poi ha deciso di realizzare l'opera più costosa di tutti i tempi, valutata cento milioni di dollari, visti i materiali usati, altro che farfalle morte e mucche in decomposizione! Ecco allora, esposto fino a maggio nella Camera del Duca Cosimo in Palazzo Vecchio a Firenze, «For the Love of God», un teschio in platino tempestato di 8.601 diamanti per un totale di 1106 carati. E per non farsi mancare niente Hirst vi ha inserito i denti veri prelevati da un cranio del 700 acquistato a Londra. A sentir lui i fini sono nobili: «Come artista cerco di fare cose in cui la gente può credere, con le quali possa relazionarsi, che possa sperimentare». Ma allora ci provi lui a credere nelle mosche morte e a relazionarsi con un squalo in decomposizione. Però il problema è più vasto: quali interessi hanno i responsabili delle più importanti istituzioni culturali del mondo nello stendere il tappeto rosso alle provocazioni di Hirst? Perché non dire una volta per tutte che il «re è nudo» e che non ne possiamo più di questi bluff agghiaccianti, di questi inviti a pranzo da denunciare al Nucleo Antisofisticazioni dei carabinieri? Intanto Hirst ha incassato la delusione di un critico di casa nostra, solitamente molto focoso, ma non in questo caso: «Trovo modesta la mostra di Hirst organizzata a Firenze - ha detto Vittorio Sgarbi - Il teschio di diamanti di Hirst è quello che io definisco arte applicata, come la gioielleria, perchè non si può definire capolavoro solo perchè costa molto».