Tra il muto di Dreyer e i furori di Rocha
Maguai a chiamarlo così, pena l'espulsione dal collettivo. I ragazzi del Sessantotto, quelli degli anni Settanta ci studiavano, sulle pellicole di Eisenstein. I raduni in divisa (giaccone blu, jeans vellutino millerighe, maglione a collo alto) si facevano nelle salette di culto: il Nuovo Olimpia, il cinema Farnese, prima di tutto. Nel «da non perdere» per gli impegnati che in classe leggevano «Il Capitale» di Marx e il «Che fare?» di Lenin non poteva mancare «La passione di Giovanna d'Arco» di Dreyer, solo silenzi e primi piani. Le varianti erano i sudamericani, rutilanti «compagni» del Terzo Mondo. Il più gettonato, Glauber Rocha di «Antonio das Mortes». Nei cinemetti fumosi nessuno osava sbadigliare. Però, bei tempi rispetto al Gf. Lidia Lombardi