«Tacete, devo parlare ancora!».
Sonole ultime parole di Luigi XVI al popolo di Parigi, che lo sta giustiziando. Ma sulla spianata, mentre come un ossesso rullano i tamburi dei carnefici, è pronta la ghigliottina. «Fate il vostro dovere, urlavano gli uomini armati di picche che circodavano il palco di morte, rivolgendosi agli esecutori. Questi si scagliarono sul re, il quale si rivolse a passi lenti verso la mannaia...Poi riportò lo sguardo sul prete che pregava in ginocchio sull'orlo del patibolo. Un rumore confuso avvenne dietro le due travi della ghigliottina; l'altalena si abbassò, la testa del condannato comparve alla sinistra finestrella, lampeggiò un bagliore, s'udì un cupo botto, e non si vide più se non un largo sgorgare di sangue». Così Alexandre Dumas racconta l'epilogo terreno del re di Francia. Una pagina da anni introvabile nella traduzione italiana, come il libro che la contiene. Un romanzone che adesso l'editore Tullio Pironti ha ripubblicato, con grande coraggio. Perché per quanto popolare e legato a un'aura di narratore facile e avvicente, questo Dumas de «La contessa di Charny» è davvero adatto a lettori accaniti, capaci di sorbirsi le 1140 pagine della intricatissima vicenda. Che però ha più di un motivo di interesse. È un romanzo storico, il genere che lo scrittore un po' colored (sua nonna era una schiava di Haiti) lanciò e seppe dominare con maestria. E segue passo passo il piano inclinato nel quale i sovrani di Francia scivolarono inesorabilmente dopo la presa della Bastiglia. L'avvio sono le giornate del 5-6 ottobre 1789, quando una folla di seimila persone, donne in testa, marciarono in direzione di Versailles per saldare i conti con la monarchia: la corte sequestrata, l'inizio di un'agonia che finisce appunto quando finisce il librone dell'autore dei «Tre Moschettieri» e de «Il Conte di Montecristo»: quel 21 gennaio 1793 che fece scendere la fulminea lama inventata da mousieur Joseph Ignace Guillotin sull'augusto collo del sovrano discendente dai Capeto. Dumas intreccia all'impeto della Storia amori, affetti, rimpianti, speranze individuali. Ma sono spigoli narrativi che fanno solo da sfondo all'avventura collettiva della Rivoluzione. E il «burattinaio» Alexandre - che scrisse «La contessa di Charny» nel 1855, facendone l'ultimo dei quattro libri del ciclo chiamato di Maria Antonietta e della Rivoluzione - oltre a Cagliostro, Mirabeau, Marat, Danton, Robespierre, Saint Joust fa agire personaggi-simbolo di un'idea o di un gruppo sociale: Billot incarna il popolo, Charny l'aristocratico leale, Gilberti il costituzionalista. E poi c'è Ange Pitou, che dà il titolo al romanzo precedente, e che è un eroe alla rovescia, funzionale al disincanto con cui Dumas soppesa i fatti che racconta. Pitou è un ragazzotto di campagna precipitato in eventi più grandi di lui. Insomma, fa il paio col Renzo manzoniano, capitato nella sommossa milanese dell'assalto ai forni. Ora l'ingenuo col cappello tricolore intreccia la storia d'amore con la bella Catherine: sta a lui a chiudere la vicenda. Un compito che l'autore gli delega, a suggellare ironicamente che gli stravolgimenti della politica, le fanfare rivoluzionarie sono lontani anni luce da ciò che rappresenta davvero i cittadini. Dumas è tutt'altro che «repubblicano». Anzi, ha un debito con la monarchia, anche se con quella «illuminata» post-rivoluzionaria. I primi soldi li guadagna facendo lo scrivano al Duca d'Orleans, che diventerà re col nome di Luigi Filippo. Così nel romanzo, allorché il sangue di Luigi XVI schizza dalla testa mozzata, chiosa: «La repubblica recava in fronte una di quelle macchie fatali, indelebili, che più non si cancellano!». Ma nel prologo c'è un altro squarcio dello scrittore «politico» malgre lui. Spiega dunque ai suoi lettori che «La contessa di Charny» ha atteso a essere pubblicato perché lo spazio tradizionalmente riservato dai giornali ai feuilleton - i romanzi d'appendice nei quali Dumas, Sue, Lamartinr, Sand furono maestri - è stato cancellato dalle «articolesse» politiche, dai «fondi» delegati a illustrare i grovigli parlamentari o a fare da cassa di risonanza ai comizi. Ma già, si chiede l'autore superstar, i giornali vendono le copie che vendono con i bla-bla dei politici o con le avventure di Danton a puntate? Che cosa vuol leggere davvero il pubblico? La risposta l'ha data la Storia: Dumas è straletto e strasaccheggiato in film, sceneggiati tv e via elecando. Mentre i parlamentari di prima e seconda repubblica, come quelli del regno con la bandiera bianca rossa e blu sono dei Carneadi.