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L'eutanasia grottesca di «Kill me please»

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Eppure,«Kill me please» non è un film facile, ma strabocca di umorismo nero e irriverente, che mette al centro il delicatissimo problema dell'eutanasia. La pellicola, da venerdì al cinema distribuita da Archibald Enterprise, è firmata dal francese Olias Barco, ieri nella Capitale per presentare il suo lavoro con l'attrice Zazie De Paris (che prima di cambiare sesso era un ballerino dell'Opera di Parigi), in un incontro diretto da Piera Detassis, direttore del Festival di Roma. Il regista (che nella vita ha realmente tentato il suicidio) si è ispirato a una struttura esistente (la Dignitas), associazione svizzera che offre aiuto medico a chi richieda l'eutanasia. Nella storia, il dottor Kruger (Aurelien Recoing) si convince di dare un senso al suicidio nella sua sontuosa clinica all'avanguardia, in mezzo alle montagne, dove sono ospitati aspiranti suicidi nel tentativo di farli riaffezionare alla vita o, in caso contrario, di accompagnarli verso la morte nel modo meno traumatico possibile. La clinica diventa il pretesto per far emergere personaggi bizzarri e disperati: un giocatore di poker che ha perso la moglie al gioco, un comico malato di cancro, una ragazza affetta da patologie congenite stanca delle cure invasive, un misterioso commesso viaggiatore, il rampollo di una ricca dinastia lussemburghese e una cantante lirica che non si rassegna di aver perso la voce. Neò cast - oltre a Zazie - anche Virgile Bramly, Benoit Poelvoorde, Bouli Lanners e Saul Rubinek. Tutto in una dimensione visiva affidata al bianco e nero, che fa risaltare l'anima nera della commedia, nella quale si ride e nello stesso tempo si cade nelle atmosfere più dark. Per arrivare però a ridere occorre subire scene davvero disturbanti, grottesche, paradossali e tragicomiche, sfiorando la realtà. Già perché in Svizzera questo genere di cliniche esiste e prospera e là non si parla di eutanasia solo per malattie incurabili, ma la prospettiva si allarga a patologie psichiatriche. Din. Dis.

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