I viaggi di Conrad
diDINA D'ISA Sono appena terminate in Cambogia (il 24 dicembre) le riprese del film «La follia di Almayer», tratto dal primo romanzo di Joseph Conrad, scritto nel 1894, quattro anni dopo che l'autore incontrasse il vero Almayer, poi diventato protagonista della sua opera prima. A dirigere la pellicola (con un budget iniziale di oltre 800 mila euro), la regista, documentarista e attrice belga Chantal Akerman che ha scelto per il ruolo di Kaspar, giovane olandese in cerca del tesoro dei pirati in Malesia, l'attore Stanislas Merhar (già diretto dalla Akerman in «La captive», trasposizione del quinto libro della «Recherche» di Proust), affiancato da Marc Barbé e dalla giovane Aurora Marion, di padre greco e madre belga-ruandese, che veste i panni di Nina, la bella figlia di Almayer. Dopo circa sette settimane di lavorazione, il film sarà distribuito nelle sale nel 2011, con qualche infedeltà rispetto al romanzo. La storia di Conrad è infatti ambientata a Celebes, isola a nord est del Borneo che oggi si chiama Sulawesi ed appartiene all'Indonesia, mentre la pellicola è stata girata in Cambogia e per di più l'ambientazione della Akerman è posticipata agli anni Cinquanta, in una Malesia sotto l'occupazione straniera e in un piccolo villaggio appena sfiorato dai grandi eventi della Storia. Conrad racconta la vita di un ambizioso uomo bianco, un commerciante olandese pieno si speranze e in cerca di fortuna, che sbarca nella seconda metà dell'Ottocento in Malesia, dove sposa la figlia adottiva di un ricco signorotto locale. Ma il matrimonio, soprattutto dopo l'allontanamento della figlia, è infelice e rende Almayer sempre più arcigno mentre sua moglie cade preda delle sue ossessioni e, a mano a mano, viene da tutti considerata una strega pazza. Lo spensierato ottimismo di Almayer comincia così a vacillare, mentre i suoi sogni di ricchezza e felicità s'infrangono contro un triste destino. E quando la prediletta figlia Nina decide di abbandonarlo, l'uomo sprofonda nella depressione. Persino la nuova casa, in costruzione per ospitare degnamente tutta la famiglia, non viene completata e resta in uno stato di abbandono, tanto da essere soprannominata «La follia di Almayer». Un titolo che ha affascinato anche il pittore surrealista René Magritte che lo ha usato per un suo famoso olio su tela del 1951 (da cui sono poi state tratte una serie di acqueforti) che rappresenta una torre medievale diroccata invasa da una serpeggiante vegetazione. La «follia di Almayer» non è solo un nome dato dagli europei visitatori a quella casa in costruzione, ma è anche la costante situazione di tutti gli esseri umani: frustrazioni e continue disillusioni si rispecchiano in una vita sempre più parca di elargizioni felici e positive. La ricchezza, la serenità familiare, i progetti di rinascita economica, l'avvenire dei figli, il desiderio di una serena vecchiaia: tutti aneliti che vengono miserevolmente smentiti e negati, rendendo Almayer sempre più sconsolato e amareggiato. In primo piano anche l'illusione di una ricerca dell'altrove, magari esotica e lontana, simbolo dell'evasione dalla complessa e ipocrita civiltà occidentale.