Street artist
diMARIO BERNARDI GUARDI Ma è lui o non è lui? Certo che è/ non è lui! Il vecchio tormentone di Ezio Greggio capita a proposito per dibattere sull'identità di quel ragazzino con gli occhiali, blazer nero, pantaloni grigi e cravatta a righe- insomma la divisa di chi frequentava la prestigiosa Cathedral School di Bristol- che ci guarda da una foto degli archivi scolastici del 1989. Nel senso che ci si pone/impone un interrogativo cruciale: quel fanciullo occhialuto e dall'espressione un po' così, tra l'imbronciato e lo sprezzante, è Bansky? Ovvero il writer più creativo, trasgressivo e invasivo del mondo, l'artista che dopo aver fatto fiorire di colorite provocazioni i muri della sua Bristol, fa esplodere quelli di Londra a colpi di «terrorismo» ingegnoso, con raffiche di immagini che vanno all'assalto di «palazzi» e «accademie», e, senza fare nemmeno un morto, ammazzano il grigio conformismo planetario? Sabina De Gregori, attenta studiosa dei linguaggi artistici contemporanei, dunque armata di ogni possibile strumento investigativo nonché di una comprensibile devozione alla dissacrante icona Bansky, ci racconta con dovizia di informazioni e di ipotesi il mistero dello «street artist» in «Bansky, il terrorista dell'arte. Vita segreta del writer più famoso di tutti i tempi» (Castelvecchi pag.250). Senza avere la presunzione di risolverlo perché l'identità del writer è un capolavoro di arte della fuga e, sì, Bansky potrebbe essere quel Robert Gunningham effigiato nell'istantanea scolastica ovvero un disciplinato adolescente «tutto collegio e cattedrale» che occulta in sé uno scialo di intemperanza, stravaganza, effervescenza destinato, di lì a poco, a manifestarsi qua e là per l'Inghilterra e per il mondo. Bansky potrebbe essere «quel» Robert, ma potrebbe essere anche un Robin, e altri ancora. Non ci aiutano documenti e testimonianze che anzi accrescono il mistero con divertita elusività. Non ci aiuta davvero Bansky che, colto in flagrante a seminare per le città le sue mine inventive, cela sempre il suo volto dietro le più svariate maschere. Un tipo che piacerebbe a Borges e a Pessoa, così innamorati del «singolare» che si «moltiplica». Uno che gioca sulla sua inafferrabilità, sulle sue apparizioni inattese, sul suo essere presente, all'improvviso, di fronte a un muro da «trasformare». O comunque in qualsiasi altro spazio da investire con una botta di vita. Grazie al cervello «terrorista» e alle mani «guerrigliere». Già, gli «stencil» di Bansky. «Immediati e ricorrenti come manifesti pubblicitari» ma con il suo immaginario interviene anche sulle mostruosità del nostro tempo. Pasquino dei nostri giorni, lo definisce la De Gregori, ma anche un graffitaro dell'Apocalisse.