A tavola con il padrino il dessert è sempre flambé
diANTONIO ANGELI «Paride fu il primo dei tre ad essere ammazzato: lo strangolarono con il filo che tiene legate le caciotte mentre maturano nelle grotte e nelle cantine...»: il matrimonio, gustoso e agghiacciante, tra mafia e cucina è un fatto noto ed è stato raccontato da cinema e tv: dal «Padrino» ai «Soprano». Mancava un bel libro che «ufficializzasse» il legame ultracentenario. Ed ora è arrivato: «La mafia a tavola», di Jacques Kermoal e Martine Bartolomei, con una saporita appendice condita con un pizzico di 'ndrangheta di Piero Colaprico, L'ancora del Mediterraneo editore, 160 pagine, 15 euro. Un libro godibile e complesso, quello dei due giornalisti francesi (francese è la lingua originale del volume), che offre diversi piani di lettura. Di certo è un noir, e non potrebbe essere altrimenti, visto che tutti quelli di cui si narra finiscono i loro giorni in modo poco naturale. Si parte con il pantagruelico pranzo che gli «zii» palermitani offrirono a «don Peppino» Garibaldi il quale, molto ingenuamente, credette di «liberare» la Sicilia, invece la consegnò ai padrini che si spartirono le ricchezze dei vecchi proprietari terrieri. La gran mangiata mafiosa, tra un omicidio e un segreto, che ci porta dall'Unità all'omicidio Mattei, rivela una complessa liturgia, che cambia con il tempo. All'inizio del Novecento nei pranzi ufficiali c'era molta carne e niente primi. Don Ciccio di Piana dei Greci, nel '24, offrì ad un giovane Mussolini solo secondi: involtini, pollo e ragù di pecora, preceduti da prosciutto di mulo e salame d'asino e seguiti da un dolce arabo. I piatti «poveri» cominceranno ad apparire più avanti nei menu ufficiali, come nel '63, quando a Frank Sinatra, che andava ad omaggiare il boss di Agrigento, fu servita una solenne pasta e fagioli. Il libro è suddiviso in capitoli, ogni capitolo è uno storico pranzo del quale si descrive con precisione lo scopo, i convitati ed i diversi piatti con i vini serviti. Al termine del capitolo le ricette. La morale (mafiosa) è semplice: a un uomo può essere tolta la vita, ma non gli si deve dare un pasto cattivo. Sarebbe un disonore.