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IL GIRADISCHIa cura di Stefano Mannucci

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Ec'è voluto tutto questo tempo per salvare la memoria di Jimi da quella pletora di registrazioni postume che avevano funestato il mercato discografico - sia ufficiale che clandestino - e che si erano rivelate, messe una sull'altra, come uno dei fenomeni più perniciosi dell'industria musicale. Com'è ampiamente noto, il morto vende bene. Basta scavare bene negli archivi e recuperare qualche nastro incompleto, una mezza idea abbozzata in studio, un disco che era «lì lì a un passo dall'essere completato». Ne sanno qualcosa i fans di Michael Jackson, che con la benedizione dei parenti e dei collaboratori del re del pop, hanno visto uscire un disco che in questi giorni è in cima alle classifiche, ma che è lontano a distanze siderali da vecchi capolavori come "Thriller" o persino "Bad". Del resto, non avrebbe potuto essere altrimenti: la macchina dello star-system stritola allegramente l'artista finchè è in vita, e poi ne mette in vetrina i miseri resti. Per Hendrix, si diceva, ci sono voluti quattro decenni per fare giustizia di tanta paccottiglia. Nel tempo di mezzo, si è combattuta una sanguinosa faida familiare tra suo padre Al (scomparso nel 2002) e il fratello Leon, che si contendevano i diritti sull'immenso patrimonio musicale del congiunto, che era solito registrare praticamente tutto ciò che suonava, in interminabili ed esaltanti jam-session improvvisative. Si partiva da una nota qualunque e immediatamente la genialità spaziale di Jimi cominciava ad inoltrarsi in universi inesplorati, dove il blues e il rock, il funk e il soul, il jazz e l'R&B si incrociavano su territori inusitati, e dove la sperimentazione bruciava nello stesso fuoco dell'immediatezza. Era una sorta di "musica cosmica" e totale che legava gli intenti di Hendrix a quelli di un altro visionario, l'immenso trombettista Miles Davis. Lo stregone della Fender Stratocaster non fece in tempo a realizzarla compiutamente, perchè non superò una notte di eccessi a Londra, il 28 settembre 1970: ma i suoi tre dischi ("Are you experienced?", "Axis: bold as love", e il doppio "Electric ladyland") segnarono la fine degli anni sessanta e l'avvento dell'era d'Acquario come comete abbacinanti, con canzoni stilisticamente rivoluzionarie, dalla forza sensuale, sospese tra i cieli multicromatici della psichedelia e gli inferni muscolari del rock più sanguigno. Risolta la querelle all'interno della famiglia Hendrix e sistemati gli archivi, nel 2010 abbiamo visto (con la cura della sorella Janie) la pubblicazione di cose degne del nome del chitarrista: a marzo lo sfolgorante album singolo "Valleys of Neptune" e sul finire dell'anno questo magnifico box quadruplo, impreziosito da un dvd-dcoumentario realizzato con interviste, appunti, testi del Nostro e testimonianze di alcuni dei musicisti che avevano lavorato con lui. Nessuno di questi cd è puramente antologico: in più di quattro ore complessive, si può riascoltare un Jimi in piena forma tra canzoni totalmente inedite, versioni alternative di brani già noti, cover ed estratti di concerti. Particolarmente interessante il primo disco, quello incentrato sui tempi degli esordi e sulle collaborazioni di Jimi, soprattutto al fianco degli Isley Brothers ("Testify" è del '64) e di Little Richard, mentre il secondo rivisita il periodo aureo 1967-'68 (ascoltate la versione di "Tears of rage" firmata Dylan o la spiazzante lettura acustica di "Long hot summer night"). Il terzo cd è quello delle inquietudini che marciavano parallele al successo della sua band, gli Experience, mentre quello che chiude il cofanetto racconta i suoi ultimi mesi, quando Hendrix era divorato dall'alcool, dalle droghe e dalla sensazione di aver detto già troppo, a soli 28 anni. L'ultimo pezzo, registrato in solitudine nel suo appartamento al Greenwich Village, si intitola "Suddenly November morning, 1970". Un mattino che non fece in tempo a vivere. Voto 5/5

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