di LIDIA LOMBARDI Finire per ricominciare.
Vederela luce in fondo al tunnel. Può essere anche uno stato d'animo il solstizio d'inverno. Quest'anno cade preciso preciso il 21 dicembre (già, perché talvolta ritarda un po' e slitta astronomicamente al 22, per quelle sei ore che si aggiungono ai 365 giorni dell'anno). E così dopodomani la notte verrà prestissimo, ma poi il sole - che è al punto più basso rispetto alla Terra - comincia a risalire sull'orizzonte. La notte, il buio, il rifugio. Ma subito dopo, il giorno, la luce, l'uscio aperto. Così, paradossalmente, il 21 dicembre, con l'arrivo del gelido inverno, quando il castoro è nella tana e le piante rinsecchiscono, si coniuga con la speranza. Mentre il solstizio d'estate, nel cuore dell'ubriacatura per la bella stagione, già ripiega nella consapevolezza che la gioia finisce. Una sapienza che ha ispirato a Leopardi «Il sabato del villaggio». E che serve agli psicologi, quando indagano nel fondo del cuore di un depresso. Il surplus di vita nascosto nel 21 dicembre ha plasmato religioni e riti, tradizioni e cibi e anche il modo di pregare. Recitano le nonne romane: «A li 21 San Tomaso strilla, li 24 te magni l'anguilla. A li 21 San Tomaso canta, li 25 è la nascita Santa». Già, Gesù. Nessun Vangelo dice che venne alla luce il 25 dicembre di 2010 anni fa. Piuttosto Maria e Giuseppe nella capanna ci dovrebbero essere capitati in primavera, poiché Luca scrive che i pastori di notte vegliavano il gregge, e il pascolo avviene di primavera, quando l'erba è tenera e verde. Ma il periodo giusto per celebrare la trionfale nascita di Cristo dovette parere quello subito dopo il solstizio d'inverno. I pagani festeggiavano il 25 dicembre il Sol invictus, un culto che l'imperatore Aureliano aveva mutuato dall'Oriente, dal dio Mithra. Uniti ai Saturnalia, le feste per il dio dell'età dell'Oro Saturno, di poco precedenti, erano all'insegna della rinascita, della resurrezione della luce, dell'attesa di una Natura risvegliata. A Roma, dov'è ora Piazza San Silvestro, c'era il tempio di Mithra. E qui le cerimonie festose avevano tanto clamore da influenzare tutti. La Chiesa del terzo secolo pensò allora di appropriarsi del 25 dicembre come data della nascita del Salvatore. Del resto non era il sole dei cristiani, la promessa di vita nuova? Tertulliano scriveva: «Altri ritengono che il Dio cristiano sia il sole perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il sole che sorge». La contaminazione delle religioni come sempre è miscuglio di usanze. Ci guida nel senso delle tradizioni quel colto affabulatore che è stato Alfredo Cattabiani, con i suoi libri intitolati «Calendario» e «Florario». In questo periodo il pungitopo e l'agrifoglio ornano le porte delle case perché richiamano con il rosso delle bacche il colore dell'astro. Al nord i Celti appendevano rami di vischio: immaginavano che i frutti bianchi e fosforescenti avessero imprigionato la luce di una folgore. Il mito pagano spiega anche gli odori e i sapori che invadono le nostre case ora. Il Sol invictus era simbolo di vita, dunque il grano che germina era il cibo base ideale. «Plinio il vecchio dice che si confezionavano frittelle natalizie di farinata», spiega Cattabiani. E i cristiani, con Gesù pane della vita, avviano le mille varianti di dolci: panettone, pandolce, pangiallo, panforte, panpepato e pandoro. Anche la tombola ha una derivazione pagana. «Durante i Saturnali si permetteva eccezionalmente il gioco d'azzardo, proibito il resto dell'anno: era in connessione con la funzione rinnovatrice di Saturno che distribuiva le sorti agli uomini per il nuovo anno». Il 21 dicembre segna anche l'ingresso del segno zodiacale del Capricorno (infatti il Sole si trova allo zenit del Tropico del Capricorno). Caparbio, terrigno, concreto, equilibrato, saggio come chi deve centellinare le risorse dell'inverno. E insieme scontroso, ombroso, come chi sta nella penombra. Un vincente, il Capricorno. Come il Sole.