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La piovra strozza Nord e Sud

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diGIANLUIGI NUZZI e CLAUDIO ANTONELLI Il «colpo della vita» per Pippo Di Bella arriva nel dicembre del 1997. Un colpo grosso, per il calibro della famiglia coinvolta, per la somma in ballo e perché esce dall'operato consueto della 'ndrangheta. «Dopo la morte di Versace a Miami Beach, nell'estate del 1997 – racconta Di Bella – la 'ndrangheta, con un anticipo di 150 milioni di lire, ci aveva ordinato di rubare l'urna con le ceneri dello stilista, solo che la tomba era protetta da catene, telecamere, allarmi e guardie giurate. Siamo andati al camposanto con due macchine la notte di San Silvestro del '97. Eravamo cinque, tutti uomini di fiducia di Franco Coco Trovato. Con me c'era Agostino Rusconi, uno che non si ferma di fronte a niente e nessuno; se c'è da ammazzare, Agostino ammazza senza problemi. Nell'altra macchina c'era Tonino Lo Cocco, compare di Corsico (nell'hinterland di Milano, nda), e due fratelli che non avevo mai visto. Nel baule Lo Cocco portava mazze e martelli». Il cimitero di Moltrasio sorge in un luogo isolato. Si affaccia sul lago e pare un presepe. Per raggiungerlo si percorre una stradina stretta che si inerpica su una collina a ridosso delle prime case. Non è molto grande, con i viali a forma di croce, le tombe distribuite in una trentina di file. Quando il gruppetto arriva in cima, uno dei fratelli rimane fuori a sorvegliare, mentre gli altri quattro percorrono cauti le stradine con i volti coperti da sciarpe, guardandosi attorno per evitare di finire nel raggio di qualche telecamera a infrarossi. «C'è stato troppo casino sulle ceneri di Versace» prosegue Di Bella. «Solo qualche mese prima, ad agosto, i carabinieri avevano pizzicato uno che aveva rotto la catena della cappella per portarsi via l'urna dello stilista. Dopo di allora i Versace avevano rafforzato la vigilanza, con tanto di presidio diurno e ronda di notte. Me n'ero accorto tra Natale e Capodanno, durante i sopralluoghi, dopo che avevo accettato l'incarico. Ero andato lì per calcolare i tempi, le distanze, per vedere chi frequentava il cimitero, a quali orari». La sera dell'ultimo del 1997, passata da poco mezzanotte, non c'è in giro nessuno. Eppure i quattro temono di incappare in sistemi d'allarme nascosti. Se sfondassero il cancello della cappella rischierebbero di ritrovarsi i carabinieri con gli m12 spianati nel giro di cinque minuti. E se anche dovesse andare bene, l'indomani se ne accorgerebbero tutti e la notizia farebbe il giro del mondo: polizia a caccia di impronte digitali, posti di blocco, un disastro. La «famiglia» non cerca i riflettori, il clamore, il sangue. Soprattutto nelle regioni del Nord, dal Piemonte al Veneto, al Friuli, e anche all'estero, in Germania, Francia, Olanda: la comunità della 'ndrangheta si muove senza farsi notare, senza rumore. Da decenni, dai tempi dei boss confinati al Nord e dell'emigrazione in Europa, si infiltra nel tessuto sano, compra prima esercizi commerciali, poi avvocati, dottori, commercialisti, politici, quindi aziende, industrie. Tutto senza fretta. Per prendersi Versace, bisogna organizzare un lavoro più fino. Un buco come in un caveau, senza lasciare traccia. Domani magari verrà la sorella Donatella, il fratello Santo, la nipote Allegra, tutti a piangere, e non si devono accorgere di nulla. «Purtroppo non si vedeva un cazzo» racconta Di Bella. «Il cielo era nero, nuvoloso. E Agostino faceva casino con gli anfibi sulla ghiaia bianca. Gli dicevo di fare piano, che ci sentivano, ma lui niente, mi mandava a quel paese. Era la prima volta che ci trovavamo assieme in una situazione così. Chi aveva mai messo piede in un cimitero? Nemmeno ai funerali dei ragazzi nostri andava, per evitare le macchine fotografiche di quelli dell'antimafia. Un lavoro così non ci era mai capitato». Nella 'ndrangheta non si mischiano gli affari. Chi tratta con i soldi non tocca le armi, chi compra i carichi di cocaina lascia ad altri le estorsioni. (...).

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