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Aria nuova al balletto di Roma

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diLORENZO TOZZI Da qualche mese ha assunto l'incarico di direttore del ballo dell'Opera di Roma tenuto per dieci anni da Carla Fracci. Forte di un'esperienza alla corte di Maurice Béjart, poi guida di una agile compagnia privata, Micha van Hoecke, belga di origini russe, ha tutte le carte in regola per dire la sua sul prossimo futuro del balletto capitolino che è atteso al prossimo appuntamento il 22 con la Serata Petit, ospite Eleonora Abbagnato. Come interpreta questo ruolo prestigioso, per lei inedito, di direttore del ballo in una stagione segnata dalla presenza del suo amico Riccardo Muti? La compagnia di ballo di un Ente lirico deve avere rapporto con il passato ma anche con il presente. Dobbiamo capire da dove veniamo e dove vogliamo andare: guardare ai grandi balletti della tradizione, ma anche ai capolavori di oggi (Petit, Robbins, Balanchine, Béjart). Una programmazione bifronte, come Giano, senza dimenticare il contemporaneo. Dobbiamo inoltre vivere in armonia totale col mondo della lirica, che è l'unione stessa delle arti, una sorta di teatro «totale». Non sente la responsabilità di una compagnia così numerosa? È come passare da tenente a generale. È la stessa cosa che in una compagnia più piccola: c'è sempre chi segue e chi no. La truppa aumenta, ma non mi spaventa il numero. Poi ho avuto anche esperienze direttive con la compagnia di Béjart. Certo, la nostra produzione potrebbe essere maggiore, ma gli spazi e i tempi non lo consentono. Essere direttore significa dare un'anima, instaurare un rapporto umano, riconoscere il talento delle persone. Dobbiamo esplorare nuove creazioni che possono costituire un nuovo repertorio. L'unica difficoltà è che tutto possa restare solo un lavoro, mentre noi artisti dobbiamo dare qualcosa di più ogni sera sul palcoscenico, dobbiamo portare sulla scena le nostre emozioni. Perché intanto Petit per cominciare? Quali sono i gusti di Muti in fatto di balletto? Molti giovani non l'hanno mai visto, ma è un classico come un film di Renoir. Iniziamo un nuovo capitolo per l'Opera di Roma. Muti è persona di grande sensibilità e apertura: quando sente che il rapporto tra musica e danza funziona, è felice. Superato dunque il battesimo del fuoco dopo le polemiche della vigilia? Quando sono arrivato ero un po' depresso. Mi dispiaceva venire in un momento di difficoltà (ho conservato sempre buoni rapporti con la Fracci) e anche all'indomani del decreto dei tagli. Bisognava salvare la situazione. Danzare con Petit, che eccezionalmente verrà a Roma per la «prima», è un privilegio per tutti, anche per chi non danzerà. Porteremo questa produzione anche a Bari, Messina e forse all'estero. Qualche anticipazione per il futuro? Don Chisciotte a Caracalla e poi vorrei tanto riallestire lo splendido Schiaccianoci di Nureyev e la surreale ma poetica Cenerentola di Maguy Marin. Dopo 20 anni che è in Italia come giudica difetti e pregi degli italiani? Il maggior difetto è che spesso le parole non si traducono in fatti e che gli italiani non approfondiscono il loro grande patrimonio culturale. Il maggior pregio invece la capacità di superare tutto insieme. All'estero gli italiani ritrovano l'orgoglio di essere italiani, gli manca il sole, il cibo la possibilità di improvvisare. E anche io, straniero in Italia, sono qui per cambiare: la crisi deve servire da stimolo.

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