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In un saggio di Paolo Gulisano e Chiara Nejrotti la storia del vero mito del Terzo Millennio

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Nelbene e nel male. La gioventù a oltranza, diciamocelo, è una conquista del Terzo millennio. Una volta, e parliamo di epoche ancestrali, un giorno si era bambini e il giorno dopo, previa una solenne cerimonia di iniziazione, si diventava adulti. Insomma si veniva strappati alla mamma, si smetteva di giocare, non si poteva più mangiare a sbafo. Anzi: bisognava trovarsi una moglie, lavorare e usare il ricavato per sfamare la famiglia. E così è andata avanti per parecchi secoli. L'Ottocento ha visto nascere una «terra di mezzo» tra infanzia ed età adulta e poi il Novecento ha assistito all'espandersi a dismisura di questo periodo felice e poco dignitoso. E chi si scorda il grido: «Mammà vogl'a zupp' e laaatte» che si leva dal letto del figlio ormai quasi anziano di «Natale in casa Cupiello»? «Sòsete!», cioè alzati, gli urla il padre che, in una splendida edizione, era interpretato dall'autore stesso della commedia: Eduardo De Filippo. E la risposta è: «Se non mi portate a letto a zupp' e latte non mi sòso!». «Natale in casa Cupiello» è datata 1931, anno in cui, nel mondo occidentale, l'espansione a macchia d'olio del periodo tra l'infanzia e l'età adulta si era orrendamente compiuta. Oggi addirittura si passa direttamente dalla pubertà alla pensione, per quei fortunati che riescono a conquistarla. Ma questo processo di «allungamento» dell'infanzia ha un suo primo cantore, grande e incontestato: è lo scozzese sir James Matthew Barrie, autore di mille opere, ma famoso soprattutto per «Peter Pan», ovvero «il ragazzo che non voleva crescere». Barrie, grande narratore, colse con qualche lustro di anticipo una delle caratteristiche dell'uomo dell'era contemporanea: il desiderio di essere eternamente bambino. Volontà ridicola, ma che oggi, nel 2010, può dirsi da molti pienamente raggiunta. A Barrie, Peter e al mito dell'eterno fanciullo hanno dedicato un complesso saggio Paolo Gulisano e Chiara Nejrotti: «Alla ricerca di Peter Pan», Cantagalli editore, euro 14,50, 167 pagine. I due studiosi, l'uno espertissimo di letteratura fantasy, l'altra insigne pedagogista, hanno ricostruito la storia letteraria di un mito: quello dell'eterna giovinezza. Ma all'uomo moderno, ben diverso da quello del passato, abbeverarsi alla fontana della giovinezza non basta più: vuole essere eternamente bambino e vivere nel mondo delle favole. L'intuizione di Barrie è stata quella di capire questo sogno e fissarlo in un'opera teatrale che sarebbe poi diventata letteraria. «Il fascino di Peter Pan consiste in gran parte nel suo essere sfuggente, imprendibile, sempre altrove; è come aria fresca, inafferrabile, senza forma né direzione»: questa è la riflessione centrale del saggio che analizza il personaggio di Barrie rapportandolo alla sua origine antica e pagana proiettata in un presente dove, sopra ogni altra cosa, è assente il giudizio, domina l'illusione. Così sezionando Peter e il suo gruppo di amici (prima fra tutti la piccola Trilly) come fanno i due autori è anche possibile comprendere personaggi come, ad esempio, Sylvester Stallone, che a 60 e passa anni ancora pretende di fare Rocky (e l'ha fatto). Crescere non è una condanna, è un privilegio. Ma Peter Pan, Stallone e qualche milione di uomini occidentali preferiscono non capirlo.

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