Quell'insostenibile pesantezza dell'essere

Quell'attimoda riempire poco prima di lasciarsi andare. Quell'insostenibile pesantezza dell'anima che cerca una via di fuga nella leggerezza dell'aria. Mario Monicelli si è lanciato dalla finestra del quinto piano di un ospedale romano. Aveva un tumore alla prostata e forse la consapevolezza che la vita gli aveva voltato le spalle. In modo irreversibile. Un salto nel vuoto a 95 anni. Un gesto estremo. Una scelta che avvicina il regista toscano ad altri grandi artisti del passato. Mario Monicelli come Franco Lucentini, come Ernest Hemingway, come Primo Levi. Altrettanti suicidi in tarda età. Altrettante vite spezzate da un'insopprimibile inquietudine. L'aria accompagnò il corpo di Franco Lucentini nella caduta nella tromba delle scale della sua casa torinese. Lo scrittore aveva 82 anni. L'aria accompagnò il corpo di Primo Levi che aveva 68 anni quando decise di farla finita. Anche lui lanciandosi nel vuoto delle scale. Un colpo alla tempia pose fine alla vita di un altro scrittore, Ernest Hemingway. Che a 62 anni la fece finita senza ritorno. Un colpo sordo. Una fuga dall'oceano di «spleen» che agitava il suo mare in tempesta. Tutti e quattro accomunati dalla grande arte. Ma allo stesso tempo dalla volontà di non perdere il controllo della propria esistenza. Di definirne il senso anche quando si intravede la fine. Il gesto di una «personalità molto indipendente», nelle parole di Carlo Fruttero. Che ha detto no a «una vita di dolore e di impotenza», ma forse anche il frutto della «solitudine». Perché dietro a scelte come questa c'è soprattutto un senso di abbandono. Il vuoto che attanaglia. «Mi sento abbandonato e depresso», avrebbe detto lo stesso Monicelli poco prima di lanciarsi nel vuoto. Una minestrina, l'arrosto e la bieta del lunedì. Il vassoio della cena gli era stato portato via da pochi minuti quando il regista ha deciso di volare via. E di morte aveva già parlato in passato. Nei suoi film e nella vita. Una lunga scia di suicidi che gli era passata vicino. Così vicino da toccargli suo padre Tommaso. «Ho capito il suo gesto - aveva detto il regista - Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre l'ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l'altro un bagno molto modesto» Questa volta la forza della resa l'ha trovata lui. La minestrina, la bieta e l'arrosto li aveva lasciati sul comodino. Poi un ultimo sussulto. Passato e futuro si sono accavallati. In corto circuito. Pochi passi. Un parapetto di novanta centimetri per fare leva su un corpo ormai fragilissimo. Che voleva solo alleggerire nell'aria quell'insostenibile pesantezza dell'essere.