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Negli occhi del rione

Una foto del regista Mario Monicelli, nei pressi del portone della sua abitazione in via dei Serpenti, Rione Monti, a Roma,

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La mattina dopo la tragica fine di Mario Monicelli era stridente il contrasto tra la confusione della manifestazione studentesca a via Cavour e il silenzio di via dei Serpenti. Qui, al numero 29, ha vissuto per tanti anni il maestro della commedia all'italiana, ricordato da una sua foto in cui è avvolto in un mantello rosso, con la scritta «Grazie Mario». Il Rione Monti, uno dei più antichi della capitale, era amatissimo da Monicelli, tanto da dedicargli due anni fa il cortometraggio «Vicino al Colosseo c'è Monti». Oggi il quartiere si stringerà per l'ultima volta intorno al grande regista, con l'esposizione del feretro a piazza Madonna dei Monti dalle 10, mentre in serata è prevista una fiaccolata per le vie del rione. Per sua espressa volontà non ci saranno funerali ma solo la camera ardente, allestita alla Casa del Cinema, dove sarà possibile dalle 11 alle 17,30 porgergli l'ultimo saluto. Sulla sua morte, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo. Nel Rione Monti tutti lo conoscevano, orgogliosi di un vicino di casa così importante. «Veniva in farmacia quasi tutti i giorni - ricorda la signora Donata, della Farmacia Savignoni - Era lucido, cosciente, aspettava pazientemente il suo turno in fila ed era sempre galante con le signore. Un gesto estremo come il suo, in genere, lo fanno i giovani». Donata è visibilmente commossa, ma prova lo stesso a trovare una ragione: «L'unica spiegazione che mi sono data - aggiunge la farmacista - è il contrasto tra la sua giovinezza mentale e l'inevitabile decadimento fisico, la difficoltà nel conciliare la mente di un cinquantenne con il corpo di un novantaquattrenne». Un'altra tappa delle sue giornate era il Bar Brasile, dove lo accoglieva il caloroso sorriso della signora Giuseppina. «Veniva spesso dopo pranzo a prendere una tavoletta di cioccolato al latte o dei gianduiotti - sottolinea la barista - Pagava sempre con gli spiccioli e mi diceva: "Dottoressa, prenda lei i soldi, che io non li vedo". Era un vero signore, riservato ma simpatico. L'ultima volta che l'ho visto, però, era consumato, pallido, si vede che non stava bene».   Monicelli aveva un tavolo fisso alla trattoria «Valentino» a via Cavour, dove ci accoglie il titolare Giuliano. «Erano vent'anni che veniva a mangiare da noi - racconta Giuliano - là al tavolo all'angolo, vicino alla tenda. Prendeva sempre le stesse cose: quadrucci in brodo con l'uovo crudo, un'ala di pollo al forno e un quartino di vino della casa. Unica eccezione il giovedì, quando ordinava gli gnocchi. Era una persona squisita, semplice, parlava con tutti e firmava gli autografi». Quella trattoria, per lui, era ormai un luogo di ritrovo, dove si dava appuntamento con Remo Girone, Roberto Faenza e Luciano De Crescenzo per parlare di cinema, cultura e politica. Di giorno era facile vederlo seduto su una panchina in piazza Madonna dei Monti, a leggere il giornale. Quella panchina, oggi, resterà vuota.

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