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Signora Ministro, i libri salviamoli a scuola

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Signora Ministro, adesso viene il bello. Lei ha definito epocale la riforma, la riorganizzazione di indirizzi e orientamenti della scuola secondaria. Era ora, visto che dal '63 non cambiava più o meno niente. Vi contestano, vi difenderete. E comunque i frutti, per giudicare, si dovrà aspettare e misurarli tra un po'. Nuovi nomi dei licei, degli istituti tecnici, nuovi indirizzi. Bene, ora dovete decidere cosa metter dentro alla nuova confezione. Cosa si insegnerà ai nostri benedetti e indocili ragazzi. Ora la faccenda si fa grave e interessante. Per quel che riguarda l'insegnamento della letteratura il sottoscritto ha lanciato un sasso mesi fa. Lo hanno fatto anche altri, negli Usa, e in Francia, dove è uscito il libro di Todorov: «La letteratura in pericolo». Il mio ideale sarebbe che la letteratura fosse un insegnamento facoltativo. Come Dio, nemmeno l'arte si può amare per obbligo. Ovvero, la si propone, come lettura di testi, scoperta di autori per i primi due mesi di scuola e poi chi vuole, cioè chi è stato attratto dall'insegnante in grado di mostrargli i tesori della grande arte della parola, sceglie di continuare. Sarebbe un modo per motivare e premiare i bravi insegnanti, e accomiatarsi da quelli scarsi. Forse non è possibile attuare il mio ideale. Ma il fatto è - e lo sa bene - che nella stragrande maggioranza i nostri ragazzi escono dalla scuola annoiati dalla letteratura, poco interessati quando non «infastiditi» da Leopardi, Dante, Ungaretti, Manzoni etc. E non hanno gusto di leggere. Cioè, Signora Ministro, stiamo dilapidando il nostro patrimonio, l'unica cosa che, peraltro, fa della scombinata Italia una nazione. Un friulano e un pugliese si sentono entrambi concittadini di Michelangelo o di Dante, molto più che accomunati da confini o tasse o governi e bandiere. Stiamo buttando tutto questo. Ci sono buoni insegnanti, che però tendono a difendere le cose come stanno. Ma così non va. Occorre cambiare radicalmente, la letteratura è in pericolo. Per due motivi. Primo: la si è ridotta in troppi casi a «storia della letteratura nazionale». Cosa doppiamente insensata. Che senso ha studiare Montale (quando ci si arriva) senza incontrare Eliot o Baudelaire, senza i quali Montale non sarebbe Montale? E Manzoni? Per educare un ragazzo a leggere occorre leggere, non fare la storia dei libri. La storia della letteratura si studi nel programma di storia, in dosi misurate. Ma nelle ore di letteratura si impari a leggere e il gusto di farlo. Così si impara anche a scrivere. Il secondo motivo di dissesto è il veleno inoculato da metodologie presuntuose che volendo ridurre la letteratura a scienza hanno ingabbiato il testo in deliri analitici. Todorov stesso, fondatore dello strutturalismo, ha denunciato i guasti educativi di quel metodo, una specie di pappa pronta a caterve di insegnanti. La scuola non ha l'unica responsabilità dello sfascio. La condivide con cinici editori, squallidi capi delle tv e con tanti adulti che sfruttano i ragazzini senza dar loro niente che sappia di infinito e di profondo. Ma la scuola può far tanto, se è disposta a cambiare. Si promuova la lettura di classici e contemporanei, si diano cornici storiche durante l'ora di storia (gli insegnanti sanno lavorare insieme, no?), si lasci leggere i ragazzi senza inseguirli con inutili esercizi che servono solo alla pigrizia del docente e far da piedistallo a una cattedra la cui autorità difetta. Perché l'autorevolezza nell'insegnar letteratura, cara Ministro, non viene dai libri o dalle lauree soltanto: ma dalla vita, che sa mettersi a fuoco nell'ascolto della voce di un altro.

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