Manfridi diventa Wakefield e vola oltre se stesso
Roma, teatro Argentina, 3 febbraio: «aspettando» Daniel Pennac, in scena con Bartebly di Melville dal 5, Giuseppe Manfridi interpreta e dirige il suo Wakefield, l'uomo che volò oltre se stesso, testo stampato dalle edizioni La mongolfiera. Cosa c'entrano Poe, Melville, il racconto di Hawthorne, Wakefield, con il prodigioso salto in lungo di Robert Beamon alle Olimpiadi di Messico 1968? In sette secondi l'atleta americano frantuma il record del mondo, facendolo avanzare di più di 50 centimetri. Sette secondi: quanto può durare la rapace illuminazione su cui poi si costruisce un racconto, luce improvvisa dentro l'immenso buio di parole quotidiane? È questo il rapporto a cui allude Manfridi o consiste negli scarti improvvisi delle cose visibili e che non si sanno spiegare, come Beamon che raggiunge il suo Everest, volando fino a due metri di altezza, e poi non riuscirà più neanche ad avvicinarlo un poco? Solo la poesia sa costruire il puzzle delle coincidenze e dei numeri, come vorticosamente in due ore di spettacolo, nella quasi totale assenza di scenografia, con il senso tattile del teatro: racconto e scoperta, materia e parola. Sette secondi, la constatazione delle «devianze» che compongono la vita di ogni uomo e tutti quei personaggi possono ritrovarsi, e con loro gli spettatori, all'«avvio di uno strano progetto non previsto». Si deve stare, però, alle regole dell'affascinante gioco di Manfridi: «raccontate storie, sarà l'unico modo per leggere e scrivere contemporaneamente, per apprendere inventando». Fabio Pierangeli