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Via i pregiudizi, le diffidenze

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L'Irandel quale parla Chiara Riccarand, traduttrice e filologa di letteratura persiana, non è il Paese truce dei talebani. È invece quello dei convivi, degli incontri davanti a una tazza di chai, il tè. E del culto dell'ospite: cullato su cuscini e accarezzato nel palato. «La cucina persiana» (Ponte alle Grazie, 120 pag.) ci porta in un milieu raffinato e casereccio insieme. Vicino ai fornelli dove cuciono per ore manicaretti inebriati di spezie e profumi. La lentezza delle cotture, la pazienza di veder salse raggrumate, marmellate addensate al punto giusto è anche filosofia. Esemplare il pranzo di Capodanno, il 21 marzo, all'arrivo della primavera. Sulla tavola di ogni casa le sette «S»: Sabzeh, i germogli di vita; samanu, una crema dolce fatta di grano; senjed, le giuggiole simbolo di amore; sir, l'aglio che combatte la malasorte; sib, la mela che dà salute; somoq, una spezia di colore rosso come il tramonto; serkeh, l'aceto che rappresenta il cambiamento. Nel rito tutto il mondo è paese.

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