di DINA D'ISA Un'infanzia movimentata, tra New York, Parigi, Roma e Venezia.
Unanonna stilista celebre, Elsa Schiapparelli. E un percorso costellato da incontri indimenticabili, con Andy Warhol, Truman Capote, Liza Minelli, Helmut Berger. Marisa Berenson, icona della bellezza, fotografata da Avedon e Penn, immortalata da Visconti in «Morte a Venezia», da Kubrick in «Barry Lyndon» e da Bob Fosse in «Cabaret», ha scritto ora il libro «Momenti Intimi», svelando amori, passioni e drammi, come la morte della sorella Berry nell'attentato delle Torri Gemelle. Signora Berenson, la bellezza l'ha aiutata o perseguitata? «Non mi sono mai trovata bella. Non rispondevo ai canoni estetici dell'epoca, quelli di Marylin o di Ava Gardner. Solo quando sono diventata un'immagine di copertina, nei panni di Lady Lyndon, cominciai a piacermi, mi riflettevo nello sguardo ammirato degli altri. Poi, ebbi un terribile incidente al viso ma Pitanguy mi restituì la grazia. La mia ispirazione è stata Audrey Hepburn, con lei condivido l'idea della bellezza, che sta nello sguardo, nella tenerezza e nella passione femminile. La bellezza di una donna si sviluppa negli anni». Nessun timore di invecchiare allora.. «Ho 63 anni e finalmente sono come vorrei essere, perfettamente a mio agio con la mia immagine». Lei ha avuto la fortuna di essere diretta da registi geniali, cosa le hanno lasciato Visconti, Kubrick o Fosse ? «Visconti era una persona dolcissima, equilibrata, meravigliosa, vivemmo a lungo insieme nella sua casa romana sulla via Salaria. Durante un pranzo mi disse: "Hai un fisico affascinante e ho pensato a te per il ruolo della moglie di Gustav Mahler in un film d'epoca adattato da un racconto di Thomas Mann". Fu il mio esordio, in "Morte a Venezia" recitai accanto alla Mangano e a Dirk Bogarde. Kubrick, invece, era imperioso, esigente e perfezionista, ma con me non fu mai irascibile o sprezzante. Mi notò in "Cabaret" e mi chiamò per il ruolo di Lyndon, viveva paure irrazionali, non prendeva mai l'aereo, ad esempio, metteva il casco persino in auto e si compiaceva di essere misterioso. Per Bernardo Bertolucci nutro un rimpianto, un giorno mi confidò: "Sei sempre perfetta e solenne, se girassi un film con te mi piacerebbe strapazzarti". "Non chiedo altro - gli risposi - Strapazzami", ma non l'ha mai fatto. Però, su tutti, Luchino era un gran signore». Un uomo d'altri tempi difficile da incontrare oggi? «Direi impossibile, gli uomini oggi sono fragili, insicuri, ansiosi. Quelli di una volta erano invece terribilmente machi, ma ora sono in via d'estinzione, un vero peccato». Come è stata la sua giovinezza? «Fantastica, a 17 anni vivevo a New York e passavo molto tempo con Andy Warhol che ha fatto parte della mia vita in modo costante. Mi ha dipinto in molti ritratti, uno dei quali è stato esposto a Parigi. All'epoca facevo la fotomodella e con lui conducevo una vita frizzante, folle, tutte le sere allo Studio 54, nei locali e in serate mondane. Mi fotografava sempre, adorava quando indossavo bikini ridottissimi. Andy è stato un grande amico, uno degli uomini più magnetici che abbia mai incontrato». Ha mai avuto pudori nel mostrare il suo corpo nudo? «No, mi sentivo libera, ero giovane e bella, forse ero incosciente, ma non ero affatto una provocatrice».