Doppia morte del corsaro
Atrentacinque anni dalla sua tragica morte, un assassinio dalle molte ombre, nessuno riesce a stabilire quale fosse la sua identità culturale. Al più vengono riproposte le sue contraddizioni che rischiarano, tragicamente, la nostra epoca e ce lo fanno riconoscere come "profeta" disarmato di fronte agli effetti nefasti della omologazione selvaggia che negli ultimi decenni ha contagiato le società occidentali. Per poi concludere che Pasolini non appartiene a nessuno ed è perciò di tutti. In fondo questa la tesi più ragionevole ribadita dall'intenso libro di Gianni Borgna e di Adalberto Baldoni, «Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra» (Vallecchi, pagine 342, 16 euro), provenienti da esperienze politico-culturali antitetiche, che non è possibile rigettare sulla base di antiche schematizzazioni che volevano l'intellettuale friulano irreggimentato nel Pci e perciò irriducibile "nemico" della parte avversa. Gli autori documentano, con dovizia di particolari, questa irragionevole contrapposizione, valutando nel complesso l'opera e gli atteggiamenti pubblici pasoliniani, per concludere che è stato "un compagno non-compagno" (Borgna) ed inconsapevole fautore di un tradizionalismo estremo (Baldoni) che non poteva lasciare indifferente una destra colta, avanzata, refrattaria a prendere per buono tutto ciò che gli stilemi intellettuali del neofascismo proponevano. La lunga incomprensione è stata così il prodotto di un lungo fraintendimento. Perché ancora quel 2 novembre 1975, quando il corpo senza vita di Pasolini fu trovato all'idroscalo di Ostia, risultò impossibile trovare un punto d'incontro nella valutazione quanto meno dell'opera dello scrittore, al di là del suo stile di vita. La sinistra se ne appropriò come una reliquia; la destra lo scansò il malo modo. E se solo qualcuno avesse ricordato che pochi giorni prima della morte aveva scritto una splendida poesia nella quale evocava "la destra Divina", illuminando le sue inquietudini e le sue speranze ancor più dei tanti scritti, non avrebbe liquidato con tanta volgarità l'uomo che soltanto oggi ci si accorge che per tutta la vita ha cercato un legame con il trascendente, ha messo in luce le nefaste conseguenze del materialismo pratico, avrebbe addirittura ceduto la Montedison per una lucciola, volentieri sarebbe annegato nel sacro se solo fosse stato capace di attingerlo e schierandosi contro i ricchi borghesi dell'ultrasinistra di Valle Giulia a favore dei proletari poliziotti che difendevano lo Stato, additava la modernità come fonte di corruzione e metteva l'Italia di fronte alla sua decadenza politica che l'avrebbe trascinata nel baratro. Ma tant'è. La giovane destra il 3 dicembre 1988 ricordò Pasolini, con un atto di straordinario coraggio nella storica sezione missina di Acca Larentia. Venne fuori un putiferio. Acuito da un dibattito, aperto sulle pagine del "Secolo d'Italia", promosso dal sottoscritto, che scatenò reazioni isteriche, ma anche considerazioni pacate ed intelligenti. I "nemici" si accorgevano che l'autore di "Scritti corsari" e delle "Ceneri di Gramsci" non era quello che gli avevano insegnato a detestare. Ma un fratello nella critica, perfino struggente, della modernità in cui si riassumevano i guasti morali della contemporaneità, dagli effetti del consumismo al relativismo e al materialismo pratico. Del resto per chi aveva intervistato Ezra Pound, uscendone come trasfigurato; che aveva detto in una celeberrima intervista televisiva che "il nuovo Potere non vuole che gli uomini siano tradizionalisti e nemmeno religiosi", ma "semplicemente un consumatore", poteva lasciare indifferente chi chiedeva cittadinanza ad una visione spirituale della vita e del mondo? I comunisti non lo comprendevano e Pasolini si sforzava di comprendere le loro idiosincrasie. Lo utilizzavano, ma lui si sottraeva. Non lo amavano perché erano codini e subalterni ad una politica antinazionale. Furono costretti ad onorarlo, ma senza amore, quando lo seppellirono. Borgna e Baldoni, raccontando tutto ciò ed altro ancora, hanno reso giustizia ad una "lunga incomprensione". E poco male se c'è ancora qualcuno che non lo capisce. Pasolini era un italiano che amava il suo Paese ed avrebbe considerato la propria fine un dettaglio, parte di quel "teorema" costruito per tutta la vita. Non sarebbe sopravvissuto alle volgarità del presente e ad una politica senz'anima. Da "corsaro" avrebbe finito per darsi alla macchia.